Mai si è visto un anno peggiore del 2012: nell'era Monti, i consumi sono crollati ai minimi dal dopoguerra. Strangolati dalle tasse, gli italiani non comprano più nulla che vada al di là dello stretto indispensabile. E l'Imu ha portato la pressione fiscale alla percentuale record del 42,6% per cento nel terzo trimestre. È la fotografia al nero scattata da Istat e Confcommercio: nei primi nove mesi del 2012, rispetto allo stesso periodo del 2011, il potere di acquisto delle famiglie italiane ha registrato infatti una flessione del 4,1 per cento. A novembre, poi, secondo l'indicatore Icc della Confcommercio, si è registrata una diminuzione dei consumi del 2,9% su base annua e dello 0,1 per cento rispetto al mese precedente.
Nel confronto annuo, dicono sempre i dati dell'Istituto di statistica, il reddito disponibile è diminuito dell'1,9%: di conseguenza, la spesa delle famiglie per consumi finali è calata dello 0,4% su base congiunturale e del 2,2% su base annua. A crollare non sono solo le spese voluttuarie come alberghi, pasti e consumazioni fuori casa (-4,3% in quantità, su base tendenziale) o beni e servizi ricreativi (-4,4) ma anche spese obbligate come gli acquisti alimentari, che registrano un crollo in quantità del 2,6 per cento. In alcuni casi, beni e servizi per la mobilità, il crollo in quantità è addirittura del 15,2 per cento.
«È un dato che ci dice della drammaticità e della profondità di questa crisi che colpisce tutte le imprese e tutti i territori - commenta il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli - e la prima risposta da dare è quella di cancellare qualsiasi ipotesi di un ulteriore aumento dell'aliquota Iva che sarebbe il colpo di grazia per i consumi». Ma occorre anche «avanzare - aggiunge - nel contrasto all'evasione e all'elusione per ridurre una pressione fiscale che oggi supera il 55% e che diventa davvero insopportabile per famiglie e imprese, così come proseguire con più determinazione nella spending review e nei processi di dismissione di patrimonio pubblico per liberare le risorse necessarie da destinare alla crescita».
In effetti, se i conti pubblici sono in buona salute - nei primi 9 mesi del 2012 l'indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche è al 3,7% contro il 4,2% nello stesso periodo del 2011 -, è solo grazie alle tasse. La spesa invece continua ad aumentare: nei primi nove mesi del 2012 le uscite sono aumentate dell'1,5%, attestandosi al 48,5% del Pil.
Le speranze di dire addio alla crisi, intanto, si allontanano nel tempo. Di fronte al «permanere di dinamiche congiunturali negative, anche nei mesi finali» del 2012, avverte ancora Confcommercio, «difficilmente la nostra economia, ed i consumi in particolare, potranno cominciare a mostrare, nel breve periodo, segnali di un significativo miglioramento». Per i consumatori, la perdita di capacità di spesa equivale a una «tassa invisibile, una mazzata da 1.500 euro a carico delle famiglie a reddito fisso».
Non se la passano meglio le imprese: il tasso di investimento delle società non finanziarie è infatti sceso, sempre nel terzo trimestre del 2012 e sulla base dei dati Istat, al 20,3%, con una diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto al trimestre precedente e di 1,9 punti percentuali rispetto al corrispondente trimestre del 2011.
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