Benvenuti tra gli euroscettici

Uscire dall'euro non sarebbe una catastrofe, lo dice uno studio. E ora ci arrivano anche intellettuali insospettabili

Il discorso sugli euroscettici e sugli europeisti in lotta fra loro per dimostrare tesi opposte e indimostrabili rischia di diventare stucchevole. Forse lo è. Ma bisogna pur riconoscere che, negli ultimi tempi, il numero di coloro i quali nutrono dubbi sull'efficacia della Ue e sulla durata dell'euro è cresciuto parecchio. Fior di economisti, investitori e studiosi vari cominciano a manifestare perplessità e timori alimentati dall'acuirsi della crisi e dalla riluttanza di Bruxelles ad adottare strategie vincenti.
Sono trascorsi anni dall'inizio dei pasticci finanziari (la famigerata bolla statunitense), e ancora più anni dall'entrata in vigore della moneta unica, ma le cose vanno sempre peggio e non si vede via di salvezza. Il dramma è che la gente comune si è addirittura abituata a vivere in un clima di sfiducia: dà segni di rassegnazione, mostra di avere perso speranza. Uno stato d'animo che ha contagiato anche gli esperti in materie economiche, i quali - prima lentamente e adesso celermente - vanno a ingrossare le file degli euroscettici.
Perfino Ernesto Galli della Loggia, professore di storia ed editorialista del Corriere della sera, ieri ha scritto un fondo, al solito lucido, in cui ripercorreva i momenti cruciali che determinarono la nascita della Cee e poi dell'Ue, istituzioni di una debolezza congenita dovuta al fatto che i fondatori non tennero conto delle caratteristiche dei Paesi chiamati ad aderirvi. Paesi in molti casi con gli stessi valori, ma sempre in conflitto fra loro, incapaci di comprendersi e di amalgamarsi in un progetto comune. Di qui le difficoltà attuali degli Stati membri a darsi un minimo comun denominatore: una leadership politica, orientamenti economici condivisi, un assetto legislativo che renda l'Europa decentemente omogenea.
È vero. Ciò che non fu fatto mezzo secolo fa, non è vietato farlo domani e colmare così ogni lacuna. Ma non pare esistano le condizioni - nel pieno della crisi come siamo - per compiere simile impresa. Non è realistico puntare a una soluzione rapida di un problema che si trascina da decenni. E allora? È fatale che si rafforzi l'ipotesi di dissolvimento dell'Ue e di fallimento contestuale dell'euro. Le avvisaglie non sfuggono a un crescente numero di studiosi, alcuni dei quali - per esempio Paolo Savona - stanno immaginando il futuro prossimo nell'eventualità che si concretizzino le profezie degli euroscettici, tanto disprezzati sino a ieri, al punto d'essere considerati disfattisti, incoscienti, nemici della Patria, uccelli del malaugurio.
Nella presente congiuntura, fortunatamente, c'è qualcuno che, invece, ha tenuto gli occhi aperti e non si è illuso circa la volontà dei Paesi più importanti dell'Ue di rimediare allo sfacelo. È fresca la notizia che la società di consulenza Capital Economics (tra le più autorevoli del mondo) ha presentato un documento di quasi 150 pagine che racconta, sulla base di studi specifici, cosa accadrebbe in Grecia qualora quella nazione fosse costretta a tornare alla dracma. Si tratta, in pratica, di un manuale per uscire dall'euro. Gli scenari che vi si prospettano non sono catastrofici. Ovvio, per Atene non sarebbe una passeggiata in giardino, ma neppure l'attraversata dell'inferno, posto che anche oggi i greci non sono al settimo cielo.


Supponiamo che il lavoro di Capital Economics non venga trascurato in Italia, e che possa servire a Mario Monti per guardare anche l'altra faccia della luna, forse non più brutta di quella da lui adorata fin qui e che riflette l'effigie di Angela Merkel.

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