Molti si sono scandalizzati per lo spot che invita i malati terminali a raccontare le proprie sofferenze e, magari, a esprimere il desiderio di farla finita in anticipo sulla scadenza naturale della vita. Comprendiamo. Non tutti abbiamo la stessa sensibilità. Però, prima di stracciarsi le vesti, chi inorridisce farebbe meglio a informarsi. Stiamo parlando di eutanasia, un problema di cui si discute a sproposito. I radicali di Marco Pannella - l'unico politico italiano prammatico, capace di agire nel concreto - sono chiari e, perciò, vengono oscurati. Travisati. Non programmano di legalizzare l'omicidio né, tantomeno, di fornire ai medici e alle Asl uno strumento lecito per abbreviare i tempi dell'agonia: uccidere anziani e malati terminali allo scopo di risparmiare denaro pubblico. Sarebbe una follia.
La questione è diversa. Quante volte in famiglia avete udito frasi così: la nonna è giunta alla meta, i suoi patimenti sono indicibili, se la patologia è incurabile, perché, dottore, non avere pietà della povera vecchia e non accompagnarla dolcemente all'altro mondo? Non serve molto. Una dose massiccia di morfina e pace amen. Delitto o senso comune? Suvvia, non prendiamoci in giro. Questa è la realtà, semplice e senza secondi fini. Il sostantivo «eutanasia» fa più paura del suo significato. Andarsene con leggero anticipo non sarebbe comunque obbligatorio, ma facoltativo. Libera scelta: perché impedirla?
Altra storia è il suicidio cosiddetto assistito. Ricordate Lucio Magri, intellettuale comunista, che nel novembre 2011 si recò in Svizzera, in una clinica specializzata, e qui si scolò - al terzo tentativo - un beverone letale, dal momento che non sopportava più di esistere? Il caso suscitò scalpore e polemiche perché non siamo abituati a pratiche del genere. Ci fanno rabbrividire anche solo a descriverle. Ma basta un piccolo ragionamento per superare il disagio psicologico. Se una persona non regge più, avrà il diritto di uscire di scena con dignità, secondo modalità accettabili, o va costretta a gettarsi dal quinto piano, come fece il regista Mario Monicelli che, a 95 anni, dovette ricorrere a quel tragico lancio nel vuoto per mancanza di alternative?
Il suicidio assistito, consentito in vari Paesi, non induce il medico a diventare un assassino con il consenso della vittima. Assolutamente no. Il morituro, in piena autonomia, si ricovera in una struttura idonea dove gli forniscono il necessario: un letto, un comodino sul quale c'è un bicchiere colmo di un liquido che, in pochi secondi, se ingerito, ti spedisce nell'aldilà. Nessun camice bianco impone al «paziente» di procedere, al massimo provvede all'idratazione per endovena su richiesta del medesimo. Il gesto fatale, bere quel liquido cui abbiamo accennato, lo deve compiere l'interessato, se vuole, se cioè nel frattempo non ci ha ripensato. Altrimenti, nulla di fatto: si rialza e torna a casa con le sue angosce oppure risanato nella mente, dipende.
Che c'è di male o di storto in questo? Perché vietarlo come fosse un reato? Già si fatica a campare bene, si potrà almeno crepare decentemente come e quando garba? In Italia no, non è lecito. D'altronde non era lecito fino agli anni Settanta nemmeno divorziare, e oggi per farlo non sono sufficienti tre anni di attesa, ne occorrono minimo cinque.
Lo Stato è pronto a punire tutti tranne che se stesso, benché sia costantemente fuori legge: i suoi tribunali condannano migliaia di imputati al carcere e ignora, finge di ignorare, che le prigioni sono i luoghi più illegali del Paese, veri e propri lager, dove la violazione dei diritti umani è sistematica. La detenzione preventiva è un'infamia quanto il sovraffollamento delle celle, sprovviste di servizi igienici adeguati, di docce, di aria respirabile e infestate di topi e di insetti. Che titoli ha uno Stato criminale di segregare propri colleghi criminali, di cui solo la metà sono tali, mentre gli altri aspettano il giudizio e spesso sono candidati all'assoluzione?
Siamo tutti europeisti convinti, ma solo in salotto. La Corte europea ci ha inflitto decine di condanne per come sono malamente gestite la giustizia e le strutture carcerarie. Eppure nessuno si scompone. Il governo tace, fa spallucce. Il Parlamento se ne infischia dell'amnistia, è in altre faccende affaccendato: gli premono le poltrone, le indennità, i rimborsi elettorali, il finanziamento dei gruppi alla Camera e al Senato.
Per completare l'opera, abbiamo inaugurato la galera per i giornalisti, come ben sa il direttore del Giornale, Alessandro Sallusti.
La Ue non è d'accordo? Gli europeisti se ne fregano? Vedremo. Fra 20 giorni, vedremo. Frattanto ci affidiamo a Marco Pannella, che non sarà mai senatore a vita perché la vita, lui, l'ha dedicata sul serio ai diritti civili.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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