
Berlusconi forse lascia o forse no. Ma la sinistra non lascia la sua eterna ossessione: la legge sul conflitto d'interessi. Se ne parla da quando c'è il Cavaliere e non c'è stato per lui miglior talismano. Ora che l'ex premier medita il ritorno, i big - da Massimo D'Alema a Giuliano Pisapia - hanno ricominciato a puntare il ditino contro di lui. Naturalmente, dall'altra parte i conflitti ci sono, eccome, ma non vengono avvistati.Sfuggono all'occhio concentrato solo sul settore di destra dell'emiciclo. Vengono ignorati, come astri che solcano cieli lontani. C'è un conflitto persino nella splendida vittoria alle primarie del centrosinistra lombardo dell'avvocato Umberto Ambrosoli (nel tondo), penalista rispettato e rispettabile, figlio coccolato della buona borghesia e rampollo di uno dei pochi martiri di questo sgangherato Paese. Ambrosoli è consigliere d'amministrazione indipendente della Rcs e il Corriere della Sera gli ha tirato la volata. Non sarà la Rai e nemmeno Mediaset, ma è pur sempre il primo giornale italiano. L'altra sera il direttore Ferruccio de Bortoli ha twittato il successo dell'amico come nemmeno uno zelante portavoce: «Lombardia. Il centrosinistra ha scelto. Il trionfo di Ambrosoli con il 57,64 per cento». Però. Meglio di un cronista dell'Ansa, con le bollicine dell'entusiasmo circoscritte alla parola «trionfo».
L'unica incompatibilità di cui si continua a parlare è quella del Cavaliere. Quando si è affacciato di nuovo in cabina di regia, si sono rialzati in piedi i profeti dell'antiberlusconismo. Quelli che ce l'hanno con lui, quelli che lo demonizzano garantendogli così l'elisir di lunga vita, quelli che lo vorrebbero su una panchina di Arcore. E naturalmente è ricominciato il solito dibattito sulla legge che non c'è e ci dovrebbe essere.
Ha aperto le danze Massimo D'Alema: «Abbiamo bisogno di una normativa seria sul conflitto d'interessi». Poi, piccato, ha aggiunto: «La leggenda sull'inciucio non ha alcun fondamento». Il famoso Dalemoni non è mai esistito, non c'è mai stato un accordo sotterraneo, io do qualcosa a te e tu ridai qualcosa a me. Ma se è così, torna attuale la domanda delle cento pistole: perché quando D'Alema e Prodi erano al governo non sono passati dalle chiacchiere ai fatti? Forse perché certa sinistra vive immergendosi di continuo nel fonte battesimale della propria presunta purezza e dell'indignazione nei confronti dell'avversario. Del resto lo stesso D'Alema, dall'alto del pulpito senza macchia, ha definito «immorale» l'eventuale discesa in campo di Monti.
Sabato sera a In onda, Dario Vergassola ha afferrato il Dalemapensiero per incalzare Giuliano Pisapia, grande sponsor di Ambrosoli: «Per D'Alema candidare Monti è moralmente discutibile, non aver fatto una legge sul conflitto d'interessi quando era premier, invece cosa è?» E Pisapia: «Una gran cretinata, una stupidaggine, è una delle prime cose che bisognerà fare». Perfetto. Intanto, il Corrierone incorona Ambrosoli, consigliere dell'azienda che edita il quotidiano, e de Bortoli twitta ancora: «Successo di Ambrosoli in Lombardia: 57,64 per cento, Di Stefano 23,25 per cento; Kustermann 19,11. Votanti 150.375». È tutto perfetto. È tutto lindo. Con gli elettori pazienti che sfidano la neve e il gelo per lanciare il penalista.
Nessuno fa notare la vicinanza fra la corazzata di via Solferino e il consigliere di via Solferino. I radar democrat non segnalano anomalie. No problem. Ambrosoli ha già liquidato il problema: «Se vinco le primarie - aveva spiegato - mi dimetterò». Aspettiamo.