Un uccellino, o forse una cornacchia, mi bisbiglia che Walter Veltroni sarà il prossimo presidente della Rai. L'aspirazione di una vita e il riscatto a reti unificate dalla rottamazione. La sua carriera sembrò sfociare prima in Africa da missionario veltroniano, deviazione dei missionari comboniani; poi nella narrativa, con strascico di film ispirati all'opera di Walter Scott-Veltroni. Invece sarebbe coronata dal ritorno al primo amore, la Tv. Veltroni in fondo è sempre stato un berlusconiano in versione statale, sinistresca e romanesca. Quel che preoccupa, però, è la sua idea di cultura pubblica. Sul Corriere della sera Veltroni ha scritto una cosa raccapricciante: «La cultura, fa bene ricordarlo, è una invenzione della modernità».
Come dire che i classici, le civiltà, le tradizioni, Platone, Aristotele e via dicendo, erano solo roba da buzzurri retrogradi. Se Veltroni s'è spiegato male e voleva dire invece che lo Stato culturale è un'invenzione moderna, la castroneria si fa più mirata: vuol dire che per il Walter, dai Faraoni ad Alessandro Magno, dalla Grecia di Pericle e del teatro alla Roma di Adriano o di Mecenate, da san Gregorio Magno a Federico II di Svevia, il potere non s'occupava di cultura prima della modernità.
In una botta sola, Veltroni smentisce con spettacolare negazionismo grandiose opere e testimonianze. Aspetto ora da Veltroni una castroneria riparatrice, del tipo: la tv, il cellulare e l'iPad furono invenzioni dell'antichità. Se la cultura è un'invenzione della modernità, Omero twittava con l'iPhone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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