La predica del ficcanaso Schulz l’anti Cav col vizio dei rimborsi

Il presidente dell’Europarlamento è in tour in Italia per tirare la volata alla sinistra e attaccare Berlusconi. Ma dimentica quando faceva la cresta sui gettoni di presenza

La predica del ficcanaso Schulz l’anti Cav col vizio dei rimborsi

Prosegue la campagna elettorale di Martin Schulz, presidente teutonico dell'europarlamento e campione dell'antiberlusconismo militante. Ormai l'Italia è la sua seconda patria: la settimana scorsa ha scaraventato letame contro il Cavaliere dalla Sicilia; ieri l'altro ha lisciato Ambrosoli a Milano; e ieri ha attaccato ancora Berlusconi da Torino, in occasione della convention dei progressisti europei. Ha omaggiato Bersani («Grande leader e futuro premier»); e sbeffeggiato il Cavaliere («Il 27 gennaio i nostri pensieri erano rivolti alle vittime della Shoah. Altri pensavano ai dittatori e ai carnefici. E questi non sono degni di guidare il nostro futuro»).

Già soprannominato «kapò» dal Cavaliere nel 2003, durante un duro botta e risposta al Parlamento europeo di Bruxelles, Schulz continua a intervenire negli affari politici di un Paese non suo, gonfio di crauti, pregiudizi e una discreta faccia tosta. Sì perché si erge a moralizzatore, si dipinge campione di democrazia, tralasciando - ovvio - di ricordare di che pasta è fatto. Studi non oltre il liceo, oscuro libraio nella cittadina di Würselen, Renania settentrionale, Schulz fa carriera nell'Spd. E da buon politico capisce subito come vivere, e bene, a scrocco. Nel 2002 viene pizzicato, assieme ad altri eurocolleghi, a fare la cresta sui gettoni di presenza. Il filmato di SternTV, che lo riprende con le mani nel sacco mentre firma l'elenco per ottenere il rimborso di sedute europarlamentari alle quali non partecipa o che addirittura non hanno luogo, viene trasmesso nel 2004. Una bella cifra quella intascata dal barbuto antiberlusconiano: 262 euro di rimborso spesa a seduta che, moltiplicati per 21 gettoni di presenza ottenuti col metodo del «firma e fuggi», fanno bene 5.500 euro. «262 euro per cinque minuti», titola scandalizzata la Süddeutsche Zeitung dell'epoca. Ad accusare Schulz e altri eurodeputati, un loro collega socialdemocratico austriaco: Hans-Peter Martin, giornalista ed ex corrispondente dello Spiegel. «Schulz ha firmato gli elenchi per le diarie giornaliere cinque volte per venerdì senza sedute a Strasburgo e undici volte a Bruxelles di sera e cinque volte di mattina in periodi senza sedute», attacca Martin che filma tutto servendosi di una microtelecamera nascosta. «Così si criminalizza l'intera istituzione», è la difesa di Schulz che minaccia querele a destra e a manca e dice: «I gettoni di presenza sono un rimborso forfettario per l'attività parlamentare». Insomma, una sorta di Fiorito di Germania.

Qualche mese prima anche la Bild si occupa di Schulz senza trattarlo con i guanti bianchi. L'autorevole quotidiano lo denuncia come regista di una manovra tesa ad aumentarsi lo stipendio. In ballo c'è il progetto di arrotondare di 2.000 euro l'indennità dei 99 eurodeputati tedeschi, che è rapportata a quella dei parlamentari in Germania. Un «ritocco» del 28% per portarlo da 7.009 a 9.053 euro (più i viaggi pagati, i gettoni di presenza e altri benefit). La Bild cavalca l'onda anticasta: mentre la maggior parte dei tedeschi tira la cinghia, i nostri eurodeputati vogliono aumentarsi sontuosamente la paga, vergogna! Schulz fa l'offeso e attacca: «È una campagna di sobillazione senza precedenti per la diffamazione dello Statuto dei deputati europei - s'inalbera il socialista - portata avanti diligentemente dal giornale scandalistico più choccante della Germania».

Naturalmente il quotidiano trascina l'eurodeputato in tribunale che dà ragione alla Bild, diffida Schulz dal ripetere in pubblico giudizi lesivi del prestigio della testata, altrimenti rischierà un'ammenda fino a 250mila euro o la reclusione fino a due anni. Schulz kaputt.

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