Pierluigi Battista, in un articolo ben documentato apparso ieri sul Corriere della Sera, evidenzia come il turpiloquio abbia ormai fatto irruzione nel Palazzo e stia soppiantando il classico politichese, linguaggio astruso caro ai parlamentari della Prima Repubblica, con il quale cercavano di esprimere concetti inesprimibili, complicati o forse semplicemente confusi, vuoti, deboli. L'uso e l'abuso delle parolacce sono stati incrementati negli ultimi vent'anni dal cosiddetto «nuovo che avanza», dall'antipolitica, da personaggi che non conoscono l'arte della parola, non hanno studiato eloquenza, se ne infischiano del galateo e coltivano il cattivo gusto nella convinzione che, per essere chiari e diretti, sia obbligatorio andare giù piatti, meglio ancora: volgari.
Beppe Grillo si è impadronito dell'oscenità verbale e l'ha elevata a metodo infallibile per squalificare e dileggiare gli avversari, avendone compreso la forza mortificante se non addirittura distruttiva. Il suo motto preferito, adottato anche quale logo dei suoi convegni piazzaioli, d'altronde è assai pregnante: «Vaffanculo». Che non necessita di chiose per colpire nel segno.
Al guru del Movimento 5 Stelle non si può muovere l'accusa di essere l'inventore dell'amaro stil novo e di averlo imposto nell'ambiente dei partiti. Egli si è limitato a trasferirvelo dalla cosiddetta - e molto lodata - società civile, da tutti citata come serbatoio di idee fresche e superiore moralità. Il grillesco «vaffanculo» passa infatti di bocca in bocca da decenni ed è il segno che la democrazia è un traguardo raggiunto: almeno sul piano lessicale. Infatti ci si vaffanculeggia in qualsiasi ceto sociale, dal più basso al più alto. A furia di mandarci l'un l'altro a fare in culo, questo perentorio invito a pratiche sessuali un tempo considerate contro natura (oggi non più, anzi) ha perso ogni valenza nefanda e il significato originario: in pratica, è stato desemantizzato. Non dico che abbia acquisito il senso di una carineria, ma non suona più come un'infamia.
Probabilmente Grillo e i suoi adepti quando desiderano manifestare affetto a qualcuno, in mancanza di altre risorse lessicali, gli dicono cortesemente: vaffanculo. È un modo un po' rozzo per fraternizzare tra persone accomunate dalla medesima cultura della semplicità. Il turpiloquio come slang che facilita i rapporti tra gente bisognosa di sentirsi in compagnia di amici; basta un vaffanculo detto al momento giusto e col tono giusto per riconoscersi: apparteniamo al medesimo club.
Non è bello, non è elegante, se ci udissero le nostre nonne dire certi spropositi si scandalizzerebbero e ci toglierebbero il saluto. Ma il mondo è cambiato, e sono cambiati inevitabilmente anche il costume e il vocabolario quotidiano. Per cui se un nostro collega se ne esce con una sciocchezza, noi lo riprendiamo: non dire cazzate. Se uno ti fa una proposta che giudichi assurda, non gli rispondi: no, grazie, non posso accettarla. Ma sorridi e dici: col cazzo che ci sto!
Il cazzo ormai ci è tanto familiare che anche le signore lo ritengono un innocente intercalare: cazzo che spavento, cazzo che meraviglia, cazzo che noia, oddio che testa di cazzo. Gli organi deputati alla riproduzione spopolano nelle conversazioni. Un uomo stolto non è uno stupido, ma un coglione. Un uomo dall'aspetto piacente non è altro che un gran figo. E un film di successo è una figata pazzesca.
Perfino gli escrementi si prestano a metafore ricorrenti: smetti di fare lo stronzo. Oppure: questo articolo è una vera cagata. Probabilmente alcuni lettori inorridiranno mentre leggono questa mia prosa infarcita di scurrilità, ma, se ci riflettono bene, si renderanno conto che essa riproduce fedelmente la realtà linguistica del nostro Paese: ci si esprime così in casa, in ufficio, al cinema, in tv. E la politica, che nel proprio microcosmo riverbera il macrocosmo sociale, non fa eccezione.
Non abbiamo titoli per rimproverare i rappresentanti del popolo di parlare come il popolo, cioè noi.
La volgarità cammina sulle gambe dei cittadini e arriva anche a Montecitorio e a Palazzo Madama, è sufficiente dare un'occhiata alle scarpe che essi calzano e ai vestiti che indossano. Mala tempora currunt? Sì, ma corrono da millenni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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