Dell'Utri, sentenza scritta. Ora vogliono arrestarlo

"Concorso esterno", la Corte d'appello conferma la condanna a sette anni per mafia. Il Pg chiede le manette: "Può fuggire all'estero". L'ex senatore: "È un romanzo criminale"

Dell'Utri, sentenza scritta. Ora vogliono arrestarlo

Il luogo è lo stesso di nove anni fa. La stessa aula bunker del carcere di Pagliarelli dove, l'11 dicembre del 2004, era stato condannato a nove anni, in primo grado. Non c'era, Marcello Dell'Utri, quella mattina. C'è invece adesso, 25 marzo, in un pomeriggio strano per la primavera palermitana fatto di pioggia e vento, quando alle 18 e 15, dopo poche ore di camera di consiglio, il presidente Raimondo Lo Forti legge il verdetto del secondo processo d'Appello che ribalta la speranza data dall'annullamento in Cassazione. È una condanna, di nuovo, la terza: sette anni, quanti gliene erano stati comminati nel primo processo d'Appello, per aver fatto da mediatore tra la mafia e Berlusconi, sua vittima. Sette anni di carcere da cui, perso ormai lo scudo dell'immunità parlamentare, lo separa solo l'ultimo grado di giudizio, questa volta definitivo. Anzi, nemmeno quello. Perché il pg, Luigi Patronaggio, ha chiesto alla Corte l'arresto immediato per «pericolo di fuga». Insomma, nelle prossime ore, Dell'Utri potrebbe finire in carcere.
Se l'aspettava, l'ex senatore Pdl, la condanna. La metteva nel conto, anche se nel conto non c'era la richiesta immediata di manette, arrivata in serata. «Sono tranquillo, ma certo sono anche un po' in fibrillazione», aveva dichiarato in mattinata, trovando anche la forza di scherzare coi cronisti («visto? Sono qua, non aspetto la sentenza a Santo Domingo»; e ancora, per un occhio arrossato: «Chissà, magari mi sono fatto venire l'uveite per solidarietà...») per stemperare la tensione. «Speravo in un'altra sentenza, ma accetto il verdetto. Sono tranquillo. Ci sarà la Cassazione. Ci stava l'assoluzione, ci stava anche la condanna», il commento a caldo di Dell'Utri, pochi minuti dopo la lettura del dispositivo. Grande aplomb. L'aplomb di chi da 19 anni - l'inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa è iniziata nel 1994 - ormai si è giocoforza assuefatto a stare sulla graticola. «Non sono contento, non posso esserlo – ha spiegato ancora Dell'Utri ai cronisti – ma sono tranquillo. Del resto le cose non le posso cambiare io. Aspetto le prossime puntate di questo romanzo criminale che non poteva finire qui. La vita va avanti, c'è la trattativa e il resto. Il romanzo continua».
E già. Perché comunque si concluda in Cassazione questo processo, c'è un altro dibattimento, sempre a Palermo, che incombe (inizia a maggio) e che muove i primi passi, quello sulla presunta trattativa Stato-mafia che vede l'ex senatore Pdl tra gli imputati. Tecnicamente, la sentenza di ieri, non ha fatto altro che ridefinire la condanna seguendo le indicazioni date dalla Cassazione, che aveva giudicato scarsamente motivata la condanna per il periodo compreso tra il 1978 e il 1982, quando Dell'Utri lasciò Berlusconi per andare a lavorare con Filippo Alberto Rapisarda. Non solo. Pur senza scardinare alla radice il castello accusatorio - così come era sembrato a caldo quando la Suprema corte aveva annullato, perché le considerazioni del pg sulla mancanza di prove e sul reato di concorso esterno erano state tranchant- la Cassazione, per il periodo dal 1982 al 1992, pur ritenendo dimostrati contatti tra Dell'Utri e i clan, aveva chiesto di dimostrare che ci fosse l'intenzione di aiutare la mafia. Si dovranno leggere le nuove motivazioni, ma vista la durezza della condanna - ai 7 anni si aggiunge il pagamento delle spese legali alle parti civili - è evidente che i giudici ritengano di aver trovato una soluzione. Del resto, sui rapporti con Vittorio Mangano (accusato di mafia e morto durante il processo di primo grado), il famoso «stalliere» portato da Dell'Utri ad Arcore per proteggere Silvio Berlusconi che temeva il sequestro di familiari, Dell'Utri non ha mai fatto marcia indietro. Ancora ieri, nelle dichiarazioni spontanee rese poco prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio ha ribadito: «Non ho mai aiutato la mafia ma ho aiutato soltanto a Milano Vittorio Mangano, che era una persona per bene». Solidarietà all'ex senatore dal Pdl. «La prova che il senatore Dell'Utri deve sopportare è lunga e dolorosa. Spero che al termine di questo calvario la magistratura possa giungere ad una verità che restituisca a Dell'Utri ciò che in tutti questi anni gli è stato tolto», ha dichiarato il coordinatore, Sandro Bondi.

Esulta, su Facebook, Antonio Ingroia, pm del processo di primo grado: «Confermata la fondatezza delle accuse e del suo ruolo di mediatore tra la mafia e Silvio Berlusconi».
In serata, l'ulteriore doccia fredda, la richiesta d'arresto («È fuori dal mondo», dice Maurizio Lupi su La7). Decide la stessa Corte che ha appena condannato. E deciderà presto.

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