Non beviamo più E il vino rischia la fine dell'auto

Dal 2009 un bicchiere in meno ogni quattro. Il consumo mai così giù da 150 anni. Ci salvano le esportazioni

La vendemmia nell'area degli scavi di Pompei
La vendemmia nell'area degli scavi di Pompei

Il vino italiano rischia di fare la fine di un altro vanto del made in Italy: l'automobile. Ucciso da un calo delle vendite provocato non solo dalla crisi economica, ma anche dalla stigmatizzazione sociale. Nel caso delle auto, da anni qualcuno cerca di colpevolizzarne l'uso e l'acquisto; con qualche ragione, certo. Che ha a che fare con l'inquinamento atmosferico e con un certo imbarbarimento dei nostri costumi automoblistici. Ma poi non lamentiamoci se la Fiat smantella e licenzia. E se centinaia di migliaia di famiglie finiscono sul lastrico. Lo stesso rischia di accadere nel mercato di Bacco: continuare a demonizzare l'abuso di alcol - certo non un buon bicchiere a pasto, ma poi si sa che non sempre è facile distinguere - alla lunga sta deprimendo il consumo di vino da parte degli italiani. L'unica differenza, per fortuna, sta nel fatto che nel mercato enologico l'export, in particolare nei nuovi mercati, sta in parte compensando la flessione dei consumi interni, cosa che invece non accade nel mercato delle quattro ruote: qui il made in Italy ha sempre esportato soprattutto in mercati di nicchia, come quello delle auto sportive e di lusso.
Se ne parlerà al Vinitaly che apre oggi alla fiera di Verona e del quale parliamo in questa pagina. L'allarme parte dai dati resi noti ieri da Coldiretti. In dieci anni il consumo interno di vino è crollato del 22 per cento, scendendo in termini assoluti ai 22,6 milioni di ettolitri attuali (meno dei 30,3 milioni della Francia ma anche dei 29 degli usa) e in termini relativi sotto i 40 litri all'anno. Colpa di vari fattori: la crisi, naturalmente; la concorrenza di altri modi di bere (dal boom delle birre artigianali ai micidiali popcoholics che seducono i più giovani); l'inasprimento del codice stradale e i controlli sulle strade; nuovi stili di vita più salutistici; e, come detto, la sanzione sociale, che tiene lontane molte persone dal vino.
Il quadro è confermato da un sondaggio condotto online sul sito www.coldiretti.it. Solo il 27 per cento degli italiani porta in tavola il vino tutti i giorni, mentre il 17 lo fa spesso e il 18 per cento solo una o due volte. C'è poi un 32 per cento di nostri connazionali che beve vino solo in occasioni particolari e un 6 per cento che si definisce più o meno astemio. Il ritratto è quello di una nazione non così attenta al vino, del quale pure siamo il secondo produttore al mondo dopo la Francia.
Un vero peccato, visto che il vino costituisce non solo un nostro orgoglio (per varietà di vitigni e distribuzione geografica delle viti non abbiamo concorrenti al mondo) ma anche un business importante. Basti pensare che secondo i conti fatti dalla Cia (confederazione italiana agricoltori) il mondo del vino dà lavoro - in modo diretto o indiretto - a 1,2 milioni di persone, con un aumento del 50 per cento rispetto a dieci anni fa. Un calcolo che conteggia sia chi lavora in vigna o in cantina sia chi lavora nella ristorazione, nella sommellerie e nella comunicazione. Peraltro tra gli occupati del comparto vino ci sono tanti giovani e tante donne. Segnali di vitalità che sono dovuti esclusivamente al boom dell'export al bicchiere. Nel 2012 le nostre esportazioni sono cresciute in valore del 6,5 per cento, collocandosi a 21 milioni di ettolitri (forse nel 2013 il mercato straniero supererà quello interno) per un fatturato di 4,7 miliardi di euro. Nel mondo, quasi una bottiglia su quattro acquistata, stappata e bevuta è italiana: vantiamo infatti quasi il 22 per cento del mercato globale. E ormai Amarone, Brunello di Montalcino, Barolo e Aglianico hanno conquistato anche mercati un tempo inesistenti o marginali come la Cina (+15 per cento), il Giappone (+28 per cento). Crescono però anche mercati più tradizionali come quello tedesco (+4 per cento) e statunitense (+6 per cento). Dati che fanno sorridere, ma che vanno letti con attenzione.

Il boom nei nuovi mercati infatti è dovuto alla globalizzazione e all'affacciarsi di nuovi colossi economici nel palcoscenico dei consumi «occidentali», ma presto anche questi dati potrebbero stabilizzarsi, soprattutto sei i produttori italiani non perderanno il vizio di far da sé e cercheranno finalmente di fare sistema con una piattaforma comune di filiera. E quando finirà il boom delle esportazioni, saranno dolori se gli italiani non torneranno a bere bene.

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