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Tornano i centravanti e fanno gol pure al Pd

In politica come nel calcio, sono i Lewandowski a vincere non il gruppo. Altre punte: Napolitano e gli imprenditori

Tornano i centravanti e fanno gol pure al Pd

C'è quel gol, il terzo di Robert Lewandowski al Real Madrid, che cambia tutto. La palla sotto la suola dal sinistro al destro, prima del tiro, perfetto. Non un gol, un manifesto: sportivo, culturale, politico, generazionale. È il ritorno del centravanti, nel pallone e nella vita. È la fine del cooperativismo a ogni costo, del tutti uguali per forza. È il gira-volta della pagina: basta, questa è l'era di quelli che si prendono la responsabilità. La Germania schiaffeggia la Spagna del pallone con quel giocatore che sta lì, dentro l'area, perché ha un compito, uno solo: segnare. Il frontman, il leader, la fine di un percorso. Tu la dai a lui e smetti di preoccuparti. Lewandowski del Borussia Dortmund, Mandzukic e Gomez del Bayern Monaco appartengono a una specie che per tutta una stagione calcistico-culturale è stata snobbata. Perché abbiamo vissuto per anni con l'incubo della personalizzazione eccessiva: nella politica era la demonizzazione dei partiti persona, nello sport la creazione dell'illusione del gruppo al posto dei singoli, come se il gruppo non sia per sua natura l'unione di singoli. È così che è nata quella storia del centravanti spazio, al posto del centravanti uomo. Dicevano: la contemporaneità si misura dal fatto che non c'è più bisogno di un punto di riferimento, di uno che si carica di responsabilità, di botte da prendere, di botte da dare, di pratiche da aprire e di pratiche da chiudere. No, insistevano: uno parte da dietro e occupa quella zona centrale, poi tocca a un altro, poi a un altro ancora. Era il modello Barcellona, che ha funzionato per carità, ma per il solo fatto che se hai Messi puoi giocare in qualunque maniera e hai serie possibilità di vincere tutto comunque.

Il calcio ha influenzato il resto: pareva, a un certo punto, che tutto dovesse girare come il Barcellona. Urlavano: il collettivo, la squadra, il gruppo. Lewandowski e Mandzukic e Gomez e tutti i centravanti del mondo hanno solo raccontato in diretta televisiva, coi piedi, che il centravanti è l'inizio e la fine, lo spartiacque tra un successo e una sconfitta. Perché serve quello lì, quel tipo che spesso (e meglio) è alto, grosso, non propriamente raffinato, ma drammaticamente e splendidamente concreto. Un centravanti serve ovunque: nell'economia, nella politica, nella società, nel calcio, negli altri sport. È un ruolo, un'attitudine. È una specializzazione. È un modo di essere e di vivere. È Mario Draghi che arriva alla Bce e trova una soluzione alla crisi dei debiti sovrani dicendo, per primo, che qualunque cosa faccia la speculazione lo troverà pronto a rispondere. È Silvio Berlusconi che torna e porta il Pdl a un passo dal vincere le elezioni e comunque dal non perderle. È Giorgio Napolitano che accetta di tornare al Quirinale per risolvere un problema ai partiti e al Paese. Centravanti sono tutti gli imprenditori che tengono aperte le loro aziende nonostante la crisi. Non è lo spazio, è l'uomo. È l'insegnamento della Thatcher: «Non esiste la società, esistono solo uomini e donne». Non è la collegialità che cambia le partite o le situazioni, ma una personalità. Vedi il Pd? Ha portato il modello Barcellona nella politica. Ha detto: «Non è una persona che fa il partito, ma è il partito che fa le persone». Com'era la storia di Bersani durante le elezioni? «Dopo Berlusconi non c'è nulla, dopo Grillo non c'è nulla, dopo Monti non c'è nulla, dopo di me c'è il Pd». Ecco, quella è l'idea del centravanti-spazio. E com'è finita? Siccome non gli è bastata l'hanno ripetuta con il voto per il presidente della Repubblica. E com'è finita?

Lewandowski è uno schiaffo alla democrazia dell'eccesso. Nel calcio, come praticamente in tutto, a un certo punto uno decide. Uno. Tiro, gol. È sempre stato così. A scuola ogni classe aveva un centravanti, anche se le maestre o i professori si sforzavano di far finta di niente e parlavano sempre di «gruppo». pSuccedeva nel Milan di Sacchi, quella che per molti è stata la squadra più forte di tutti i tempi. Lì il centravanti non era lo spazio, ma Marco Van Basten. Il meglio che c'era, il meglio che ci sarà. Uno che prendeva gli altri e li trascinava senza parlare. Perché non servono parole e non servono le direzioni nazionali e le segreterie. Il mondo è dei singoli, non delle assemblee. È uno che fa gol per tutti. Gli altri giocano e non s'offendono. Chi ha demolito l'importanza del centravanti come risorsa della società l'ha fatto per una sola ragione: non era un centravanti.

Ha perso, perde, perderà, sconfitto da un Lewandowski, anche senza pallone.

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