Ora basta armi (giudiziarie)

Lettera alla Boccassini. Basta con le persecuzioni da parte dei pm: ora i giudici devono deporre le armi

Ora basta armi (giudiziarie)

Gentile dottoressa Boccassini, signore giudici della Corte giudicante nel processo Ruby. L'etica della convinzione dice che bisogna mandare al diavolo le conseguenze delle proprie azioni: condannate Berlusconi per concussione e per prostituzione minorile, poi menerete il vanto di aver applicato la legge, uguale per tutti, all'ombra minacciosa di un potente. Sarete fiere di aver superato le trappole del legittimo impedimento e gli incerti della prescrizione, peraltro assai lontana, orgogliose di aver definito come inquinato da peccato e reato un intero ambiente di feste, regali e ammiccamenti più o meno burleschi alle gioie o agli incanti o ai vizietti di vite private, vite degli altri. E le indagini azzardate, borderline, con le intercettazioni, gli origliamenti, i pedinamenti, le foto rubate, le testimonianze hardcore, tutto questo lo farete entrare a viva forza negli annali della buona giustizia, esercitata in nome del popolo italiano.

Sarete applaudite dalla bella gente che non ha vita privata, perché la sera legge Kant (come ebbe la faccia di dire in pubblico, confessione porno filosofica, quel narcisetto di Eco) e di giorno si riunisce al Palasharp di Milano per ascoltare discorsi tribunizi intrisi di puritanesimo di riporto tenuti, su istanza degli adulti, da un tredicenne che si dice scandalizzato dal sesso, dagli amorini, o come afferma quel vecchio comico annoiato, frustrato e prostrato dalla vita, dal «governo del bunga bunga» (lui già si riferisce al ministero di Enrico Letta, le vostre sentenze a quello di Berlusconi). Avrete i complimenti di quell'importuno ficcanaso di Bill Emmott, pensionato annoiato del giornalismo britannico che si finge amico dell'Italia senza averne capito un'acca, lui che viene da un paese dove giochini a sfondo sessuale, famiglia reale e politica vanno malamente a braccetto, facendosi l'occhiolino, dalla notte dei tempi. L'etica della convinzione vi avrà portato a un limite oltre il quale altri giudicheranno in termini di diritto, l'appello e la Cassazione, e a voi resterà il titolo di primo tribunale popolar-talebano della storia occidentale moderna.

C'è poi l'etica della responsabilità, quella che impone di tenere conto delle conseguenze delle proprie azioni. L'uomo che fece quella telefonata in questura per evitare a una giovane di nazionalità marocchina di finire in una comunità, e che rivendicò subito quella condotta imprudente e sbagliata sul piano protocollare, dicendo senza nessuna paura che è suo costume dare una mano ad amici e amiche, ha appena contribuito al varo di un governo di salvezza nazionale, dopo aver rieletto con voti determinanti un presidente della Repubblica che passerà alla storia per il suo irreprensibile realismo politico esercitato con coraggio all'inaugurazione di un inaudito secondo mandato, dopo avere raccolto di nuovo il voto popolare di molti milioni di italiani, dopo avere sostenuto un governo tecnico che ha impedito al paese di finire a spasso fuori dall'Europa. Non voglio qui dire, come ha detto Mario Monti, che «in politica è il più bravo», il che è perfino ovvio.

Voglio dire che gode della fiducia di tanti anche perché il comportamento dei suoi nemici ideologici, dentro e fuori la magistratura, è considerato da mezza Italia inutilmente e dannosamente aggressivo.

Nel tempo non gli ho riservato bellurie, a quel vostro accusato di cui sono amico e di cui mi considero coimputato ad honorem, ho detto che doveva scusarsi, che non ci si comporta così da presidente del Consiglio, che ci si deve difendere con la calma dei forti e non con l'ira degli impauriti, e dunque ho un piccolo titolo di relativa imparzialità per dirvi che nessuno mai tra le persone non obnubilate dall'odio e dal disprezzo antropologico, in termini di responsabilità etica del giudicare, crederà che la telefonata fosse un reato di concussione e le feste private un reato da racket della prostituzione minorile.

Ogni persona informata conosce la differenza tra Dominique Strauss-Kahn, il libertino e predatorio cercatore di sesso selvaggio, figura invero un po' cupa che la giustizia americana ha lasciato andare per garantismo giuridico, e quel gran tipo di Nemorino, quel personaggio di Donizetti e dei suoi elisir d'amore che illustra di sé da oltre vent'anni il melodramma nazionale con la sua rutilante vita privata, da marito e pater familias a single impenitente, a riscontro di una notevole performance nella vita pubblica. Una condanna in giudizio risulterebbe a un impressionante numero di concittadini semplicemente ingiusta, il timbro finale in una storia accanita di eccessi legalistici e di tentativi maldestri di mascariamento. Data la situazione politica e civile del paese, risulterebbe anche un residuato bellico, un modo per prolungare l'intenibile guerricciola civile contro persone simbolo, in nome di una lettura idolatrica del codice e della vera sostanza della legge.

Assolvete dunque, in nome e per conto dell'etica della responsabilità, che non è oggetto estraneo al «libero convincimento del giudice», fondamento un po' arbitrario di un sistema dibattimentale che ha trascurato di formulare, come si fa in America e nel diritto anglosassone, il principio della colpevolezza «al di là di ogni ragionevole dubbio». Sarete ricordate come persone ragionevoli, capaci di attuare quella che Natalia Ginzburg chiamava «la vera giustizia».

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