Confesso di considerare Enrico Letta come uno di famiglia. E non per via di suo zio, Gianni, che fu il mio primo direttore quand'ero a Il Tempo. Ma perché somiglia troppo a mio cugino Menotti di Barletta. L'altezza, il fisico, il tipo di calvizie, il viso lungo, lo sguardo, gli occhiali, il modo di gesticolare e di sorridere. Uguale.
Se non fosse per le idee politiche e l'inflessione, un po' diverse, andrei a trovarlo; mi fa piacere vederlo così ringiovanito e premier. Perciò reputo naturale l'apparentamento. Enrico Letta è giovane quanto basta, democristiano quanto serve, garbato quanto è d'uopo.
Non si è distinto in nulla, finora, ma in questa situazione è una virtù. Non è istrione e piacione, come Matteo Renzi, ma questo gli dona serietà e un pizzico di affidabilità. Certo, siamo solo agli inizi, siamo all'intervallo tra due tempi, le tifoserie sono rilassate, i protagonisti si rinfrancano negli spogliatoi, i ministri offrono patatine sugli spalti.
È presto per giudicare. Ma lasciateci godere questa pausa, anche se coincide con la menopausa d'Italia. E lasciateci vedere la criatura a Palazzo Chigi, portato per mano da zio Gianni e nonno Giorgio, seduto nel banco con Angelino. È il meglio che ci potesse capitare nella peggiore delle situazioni.
Non vorrei essere malpensante ma temo che alla fine a segarlo saranno i suoi. Se capita a Bisceglie a trovare il suo fidato Boccia che ha offerto in sacrificio sua moglie Nunzia al governo, lo porterò da Menotti. Non si sa mai, se dovrà cambiare connotati e identità...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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