Pressing e spogliatoio: se la politica gioca la sua partita a calcio

Per leader e presidenti il calcio è un vero rifugio. Solo una parola non va più di moda: il rigore

Pressing e spogliatoio: se la politica gioca la sua partita a calcio

Questa è tutta la politica minuto per minuto. Parla di sé usando il pallone: abbiamo il governo che va in ritiro per fare spogliatoio, il Paese che rischia di finire in fuorigioco, il premier che fa pressing sull'Europa. È facile. È immediato. È sicuro. Una parola e tutti comprendono. Il calcio è un rifugio: quando la politica ha paura di non essere capita non usa più il suo linguaggio, ma prende in prestito quello degli altri. Lo ruba. L'ha fatto con la televisione, lo fa col calcio. Un governo come questo, fatto di vecchi nemici che devono stare insieme per dovere più che per convinzione, deve prendere la scorciatoia del calcio per evitare di incartarsi sui distinguo. Per spiegare la riunione di due giorni sulle colline toscane, Letta avrebbe potuto usare mille altre espressioni: il conclave, il summit, il vertice, la convention. Ha scelto il ritiro. Perché ovviamente «fa squadra».

Il calcio è una metafora utile. Berlusconi lo capì vent'anni fa e per annunciare la sua avventura politica s'inventò la discesa in campo. Monti non l'ha capito e infatti ha pensato che la salita in politica avrebbe avuto lo stesso effetto. Il pallone è brevità, spontaneità, confidenza, è un modo per cancellare la distanza fra te e il tuo pubblico. I politici sono la versione chic di Lino Banfi ne L'allenatore nel pallone. Troverai sempre un leader di partito che parlerà di tatticismo per raccontare il caos parlamentare, avrai comunque uno che spiegherà come un contropiede sia un colpo a sorpresa. È una tentazione irresistibile per noi e per gli altri. Il senatore americano Eugene McCarthy una volta disse: «La politica è come fare l'allenatore di calcio. Devi essere tanto furbo da capire il gioco e tanto fesso da pensare che sia importante». Il pallone è una metafora vincente, anche quando deve descrivere le sconfitte. Per raccontare le condizioni della sinistra, Corrado Guzzanti qualche anno fa usò una gag memorabile. Pochi secondi in un campo di calcio vuoto, la palla al centrodestra che lancia lungo in un'azione che sembra innocua per gli avversari, solo che quelli - cioè i giocatori del centrosinistra - si ostacolano l'uno con l'altro, vanno a vuoto, stanno a guardare il pallone, tutti urlano «mia, mia, mia», poi «tua, tua, tua». La palla finisce in rete prima che sul video compaia la scritta: «Centrosinistra, l'importante è partecipare». In panchina c'è un signore che allarga le braccia, sconsolato, triste, muto. È l'allenatore: Walter Veltroni. Lo stesso che pochi mesi fa ha usato sempre il pallone per prevedere ciò che sarebbe accaduto al Pd: «Tra i nostri avversari non c'è il portiere, la porta è vuota, loro non sono rientrati in campo per il secondo tempo e però l'arbitro ha fischiato. Non vorrei che noi restassimo a guardarci con la palla ferma sul dischetto, quando basta solo metterla in porta».

Non devi aggiungere altro, perché il calcio ha già spiegato abbastanza. Semplice e diretto. La politica approfitta, per convenzione e convinzione. È un furto concordato, autolegittima l'uno e l'altra. Le parole sono un prestito con diritto di riscatto: le usano tutti, senza differenze tra destra e sinistra, senza divergenze tra casta e anticasta. C'è un dizionario pronto all'occasione, come quando vai all'estero e ti serve quel tot di vocaboli per spiegarti senza sforzarti troppo.

Le tengono in tasca e vale la pena ripeterle: gol, autogol, fuorigioco, pressing, assist, attacco, difesa, arbitro, fallo, contropiede. Ce ne è solo una che è sparita, perché nessuno vuole usarla più: rigore. È diventata scomoda, esattamente come nella realtà calcistica. Troppe discussioni, troppe tensioni. L'hanno messa in panchina.

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