Cultura e Spettacoli

Quel viaggio che ci rende uomini

Da Caronte al "Presente" chiamato dai soldati, nel rito del "passaggio" ci sono dolore e meraviglia dell'esistenza

Quel viaggio che ci rende uomini

Prendere respiro e farsi avanti. Accostarsi con grazia. Toccare quindi. Chi sta per morire coltiva la meraviglia della situazione e quel toccare acuisce in lui la gioia di averla avuta tutta quella vita mentre i vivi, sazi, lasciano accesa la propria esistenza come una macchina ferma al semaforo, pronta a ripartire, senza spegnere il motore.
Per i vivi, infatti, dopo il rosso torna sempre il verde. Per i defunti non c'è altra luce che la candela, fin tanto che resta qualcosa delle esequie.
Intanto l'attesa. La fibra è diafana e nell'occhio di marasma e fatica di chi muore si trascolora il racconto delle sensazioni. La stanza del degente è subito abitata dalle voci e dai rumori del passato. Chi sta per morire odia, ama, sprofonda, s'erge ma, infine, assorbe ogni cosa come a voler risucchiare in un buco - un tascapane da viaggio - il calore di quel contatto. Chi sta per morire ascolta, anche a sproposito, e qualcuno - succede sempre - gli affida messaggi di saluto per i propri cari già arrivati nell'aldilà.
C'è un cammino al confine tra la vita e la morte. Il sentiero ha un'unica direzione. Secondo regola però si va avanti e basta: verso un eterno grande Uno che non è dato conoscere né capire ma c'è chi ha fatto il passo indietro ed è tornato.
Chi è tornato dalla morte - venendo via da uno stato di coma, da valori di azoto e globuli incompatibili con la vita - ha fatto sempre lo stesso racconto di luce e di incontri. Ha rivisto se stesso bambino. Umberto Scapagnini - così mi raccontò quando, da uno stato di morte clinica, fu incredibilmente restituito alla coscienza - si ritrovò tra le braccia di sua madre.
Chi torna indietro si ripresenta nella casa dell'infanzia, quindi si accende d'innocenza e d'entusiasmo per la propria vita resa meravigliosa ancor di più nella completezza del paragone. C'è il prima della morte riunito nell'istante della serenità al dopo della morte, anche questo mi disse Scapagnini. Dopo di che c'è un risveglio. E anche su questo Scapagnini ebbe a svelarmi i dettagli della riacquisita sensibilità. Ebbe sulle proprie dita il brivido di una seta struggente quanto a delicatezza: la schiena della sua giovane fidanzata. Si era addormentata accanto a lui per vegliarne il trapasso.
Tornò, invece, Umberto e mi spiegò che si torna al tic tac dell'orologio che è una nuova nascita ma anche una ben precisa morte. Le moire, infatti, rinnovano la scadenza. E Umberto, adesso, non è più. È in cammino.
Per chi torna e chi non torna, dunque, c'è il viaggio. Ed è per questo che negli eserciti si discute dell'opportunità di chiamare il «Presente!» a ogni commemorazione per i caduti. Al funerale o in una qualunque cerimonia del ricordo i vivi convocano l'appello e alla chiamata del morto - con nome, cognome e grado - i militari in adunata gridano a un sola voce «Presente!». Tutto ciò non fa che procurare lustro terreno e perciò un provvisorio lume al morto proclamandolo eroe ma al prezzo di una sosta imposta alla rotta del suo Walhalla senza per questo dargli la possibilità di tornare effettivamente indietro.
Resta in spirito, dicono quelli che praticano l'appello. Ne interrompono il guadagnato cammino verso il grande Uno, replicano quelli che, pur essendo anche loro soldati, ritengono più sacro far riposare il combattente e lasciare che lo spirito dell'arma si saldi alle insegne, alla bandiera e alla patria.
Antonio Pennacchi si dispera per tutte le volte che i ragazzi fanno l'appello in memoria di Aldo Bormida, il primo caduto della Repubblica Sociale, colpito dagli americani sul fronte di Nettuno, lungo la Pontina. Quelli lo celebrano, portano ogni anno tricolori e fiori al cippo e Pennacchi si dispera per proteggere il povero morto: «È uno spirito che cerca la pace. Lasciatelo andare verso il suo cammino! Ogni volta che si chiama l'appello Bormida è costretto a tornare».
Tra la vita e la morte c'è quindi l'andare, il dovere andare. È il cammino oltre il quale, prima della destinazione, c'è il pedaggio. Mi ricordo della morte di zio Peppino. Sua figlia, Concettina, gli mise una banconota da mille lire in tasca. È un retaggio, questo, di sana sensibilità pagana. Serve a saldare il debito con Caronte. Qualcuno, il solito moderno, s'infastidì del gesto: «I soldi?». Fu Santina Lo Gioco, spiritosa sempre, a rendere chiaro il tutto ai parvenu della laicità obbligata convenuti al consòlo. Parlò con estrema serietà, Santina: «Nessuna meraviglia. E così, quando arriva, con i soldi che gli restano, zio Peppino si compra il gelato».
Nel quando si arriva c'è il senso tra la vita e la morte, il cominciare a esistere oltre la vita e la morte è il pedaggio, ovvero, anche l'eventualità di comprarsi un gelato.

di Pietrangelo Buttafuoco

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