Quando esce da Palazzo Chigi Josefa Idem ha le lacrime in canna, ma nemmeno Enrico Letta, che l'ha appena licenziata, ha molti motivi per sorridere. Alle sette di sera il premier resta un quarto d'ora al telefono con Giorgio Napolitano, poi parla con il vicepresidente Alfano, infine triangola con il Cav, con il quale per oggi, se non salterà, è fissato un incontro. Si dovrebbe parlare di economia, di Imu e di Iva, di soldi che non ci sono, di riforme da fare. Ma dopo la sentenza di Milano sul caso Ruby, più quella la settimana scorsa della Consulta, c'è un altro argomento che s'imporrà in agenda.
Giornata lunga e piena di guai per Enrico Letta. Per la seconda volta nel giro di sei giorni Quirinale e Palazzo Chigi sono costretti ad aprire il gabinetto di guerra e sempre per le stesse ragioni. La settimana di passione del presidente del Consiglio, tra Iva, vertice europeo e giustizia, inizia dunque malissimo, e non bastano le parole dell'ambasciatore americano Torphe, «i primi passi di Letta sono incoraggianti», a cambiare la situazione. Quei passi infatti potrebbero essere anche gli ultimi: i bookmakers inglesi puntano sulla caduta precoce del governo, Betpassion paga a 1,60 la fine della legislatura entro pochi mesi.
Due «scosse telluriche», una più forte dell'altra, a cui ne seguiranno altre di assestamento. L'obiettivo di Napolitano e Letta adesso è di ridurre il danno, visto che è improbabile che il «terremoto» non lasci delle conseguenze. E se il Colle ha deciso per la «strategia del silenzio», forse per non rendere ancora più complicati dei problemi già difficili, Palazzo Chigi punta sulla separazione dei processi di Berlusconi dai destini del governo. Insomma, il premier è convinto (o meglio, spera) che il Cavaliere non farà saltare il banco per una condanna. Semmai, se sarà, romperà sull'economia.
Una convinzione rafforzata da alcune dichiarazioni del centrodestra: da Angelino Alfano che chiede a Berlusconi di «tener duro» a Daniela Santanchè che esclude conseguenze sull'esecutivo. Ma siccome la situazione è assai precaria e, come avverte Fabrizio Cicchitto, basta un piccolo incidente per mandare il governo gambe all'aria, ecco che scendono in pista i mediatori centristi di Scelta Civica. «Non commentiamo la sentenza - dice Andrea Oliviero - ci limitiamo a mandare un appello a Silvio Berlusconi e al Pdl perché non confondano il piano politico e quello giudiziario e non trasferiscano questioni personali, per quanto rilevanti, sulle già complesse vicende del nostro Paese». E l'altro giorno Mario Mauro si era spinto a ipotizzare «un'amnistia per fare la riforma della giustizia». Una «stagione di riconciliazione», diceva il ministro della Difesa, «comincia rimuovendo le cause che fanno pensare alla politica come scontro».
Il Pd invece ha scelto il basso profilo. Il Partito democratico «prende atto» del verdetto pronunciato contro il leader del centrodestra e «come sempre esprime rispetto per le decisioni, di qualunque segno siano, che la magistratura prende nella propria autonomia». È il minimo sindacale, anzi in controluce si legge persino una timida presa di distanza dalle toghe. In altri tempi da sinistra avrebbero chiesto le dimissioni immediate del Cav, adesso prevalgono l'imbarazzo e la paura che salti tutto. Certo non può bastare, il Pdl contava in una presa di posizione più coraggiosa.
Magari tipo quelle dei senatori renziani Andrea Marcucci e Mauro Del Barba: «Berlusconi venga
condannato dagli elettori e non dalle aule di giustizia. La sinistra non cada nel solito tranello degli ultimi 20 anni e tenga distinte le vicende del Cavaliere da quelle della politica». Renzi però fa ancora solo il sindaco.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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