Se l’impresa al Tour non ci fa sognare più

Tappa epica sul Ventoux: Froome vince, ma tutti si chiedono: sarà pulito o sarà dopato pure lui?? Nell’atletica, fermato per doping Gay

Se l’impresa al Tour non ci fa sognare più

In cima al Mont Ventoux si infrangono i nostri sogni. Perché Chris Froome fa una cosa che ti tiene con la bava alla bocca davanti alla tv: vince una tappa epica del Tour de France numero 100 staccando tutti in salita, pedalando col doppio della forza, mettendo il mondo tra sé e gli altri. Dici: e perché allora si infrangono i nostri sogni? Perché la prima reazione, quella istintiva, quella immediata, quella che arriva un secondo dopo il traguardo tagliato è questa: sarà pulito o sarà dopato pure lui?

Di fronte a un'impresa sportiva epocale ti fai l'unica domanda che non dovresti farti. Ma è inevitabile. Perché non passa anno che la classifica della gara ciclistica più famosa del mondo non venga stravolta dagli esami delle urine o del sangue fatti durante o dopo la fine, perché a Lance Armstrong hanno tolto tutti e sette i Tour vinti dal 1999 al 2005, perché a Floyd Landis hanno tolto la vittoria del 2006, perché Alberto Contador che ha vinto nel 2007, nel 2009 e nel 2010 è stato squalificato due anni da tutte le gare perché positivo pure lui. Allora lo guardi questo benedetto e maledetto sport che sa di fatica, di sudore, di muscoli, di volontà ma mentre lo stai guardando non sai se è tutta natura o c'è molta chimica.

Una vittoria epica come quella di ieri dovrebbe lasciarti con il desiderio di essere Froome: uno che scatta, lascia gli altri dietro e domina una pendenza che spaventa una jeep, fino a vincere. È, o dovrebbe essere una meraviglia. È la sfida dell'uomo contro gli avversari, contro se stesso, contro il limite. È la magia. È il sogno, però questo è amaro. Perché è mangiato da un sospetto che è comprensibile e ingiusto. Froome è pulito fino a prova contraria, questo successo oggi è figlio della sua fatica e della sua forza, ma è drammaticamente umano che a ciascuno di noi vengano i dubbi.

È questo che fa il doping: ammazza l'ingenuo desiderio degli appassionati di sport di avere un idolo da venerare. Perché se ce l'hai e poi scopri che s'è dopato, la delusione è doppia rispetto alla gioia che ti ha procurato quella vittoria. Questo ciclista che si alza sulla sella, spinge, spinge, spinge fino a contrarre tutti i muscoli del suo corpo è un'immagine che meriterebbe sì non essere sporcata dal nostro cinismo. Però succede. Accade perché sarà un caso, ma da quando non è più dopato, Contador perde minuti su minuti. Accade perché nello stesso giorno in cui lo sport osserva la scalata di Froome a una delle montagne che hanno fatto la storia del ciclismo si scopre che l'uomo più veloce dell'anno a piedi è pieno di steroidi: Tyson Gay, il centometrista americano che negli ultimi tempi ha sempre battuto Usain Bolt è stato trovato positivo a un test anti-doping. Non potrà partecipare ai mondiali di atletica di Mosca. Come lui, a quanto pare, anche cinque giamaicani.

È lo sport che si guarda nel suo specchio deformante: ti mostra vittorie meravigliose che potrebbero diventare atroci delusioni per il pubblico. E lo fa alla velocità della luce: nei nove secondi e settantaquattro centesimi in cui quest'anno Tyson Gay ha corso i cento metri c'è l'essenza della sfida. Subito dopo c'è o la gloria o l'infamia. Non esiste altra possibilità. Però in questi opposti che sono come il bianco e il nero c'è il grigio della nostra perplessità. Per la storia un atleta è vincitore divino se pulito, perdente imbroglione se è fatto di qualcosa. Le statistiche e le classifiche hanno la fortuna di non avere coscienza.

E non avendo coscienza non possono avere dubbi. Noi sì. È dannatamente ingiusto: la cultura della malafede s'è impossessata delle nostre anime per eccesso di delusione. È una immensa sconfitta, nel giorno di una grande vittoria.

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