Rubrica Cucù

Il lusso della pipì

Fino a ieri, nelle stazioni era possibile bere alle fontanelle con zampillo e fare pipì nei gabinetti pubblici. Ora non più...

Fino a ieri, nelle stazioni vigeva un catechismo elementare fatto di buona creanza e carità evangelica. Era possibile bere alle fontanelle con zampillo e fare pipì nei gabinetti pubblici. Piccoli segni di civiltà, di eguaglianza dei diritti elementari, attenzione ai bisogni primari della gente. Ora, gli italiani partiti per le vacanze col mezzo pubblico scoprono che le stazioni, a cominciare dalle più accorsate, negano la possibilità di bere e urinare gratis. Le fontane sono fossili di un'era gentile e l'acqua, su cui si spreca tanta demagogia come bene di tutti, viaggia in formato mignon da un euro e venti in su. La pipì tocca l'euro e al cesso si accede da una dogana. E poche sono le alternative. All'acqua nessuna, alla pipì magari dopo in treno ne troverai uno libero e funzionante, o cercando - ma di rado riesce - asilo urinario nei bar, dove la premessa implicita è consumare. Per troppa gente sete e pipì sono un lusso.

Una civiltà si misura da queste piccole cose. E anche il cinismo di Stato, il rapporto ostile del pubblico col privato, il considerare bagordi anche una semplice bevuta o una mite minzione. Non chiederò a Papa Francesco di intervenire per sorella acqua e per i fratelli bisogni corporali. Ma è odiosa l'inospitalità del servizio pubblico, punendo ancora una volta la maggioranza per impedire a una balorda minoranza di chiudersi in bagno per altre porcherie o usare le fontane come un lavabo personale.

Bevendo, pisciando che male vi fo? Non impediteci anche questa minima liquidità in entrata e in uscita.

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