I falsi del "Fatto" per difendere Esposito

Il quotidiano di Padellaro & Travaglio ci accusa di aver barato sul bonifico al magistrato, ma la notizia è vera

I falsi del "Fatto" per difendere Esposito

Aspettando i lunghi iter delle annunciate querele di Antonio Esposito, a processare il Giornale, per fortuna solo a mezzo stampa, provvede il Fatto quotidiano. Che ci bacchetta per i «falsi più falsi» messi nero su bianco ovviamente ad arte per screditare l'alto magistrato, presidente della sezione feriale della Cassazione che ha condannato Berlusconi.

Quali sono i falsi, secondo il Fatto? Il primo è la notizia del bonifico da 974,56 euro (il Fatto scrive 914 euro, non è un falso ma un errore al ribasso) che riporta nella causale, come compenso per la direzione di un centro di consulenza aperto dall'Ispi, l'associazione culturale/agenzia di formazione di famiglia del magistrato, tra i beneficiari il nome di Esposito e quello della moglie. Nemmeno per Esposito, bontà sua, quel bonifico è falso, infatti è vero. Il magistrato ha sostenuto solo di avere un conto cointestato con la moglie (ipotesi tra l'altro contemplata esplicitamente nell'articolo), affermando che era lei l'unica e sola beneficiaria di quella somma.

Ma il falso più falso, secondo il quotidiano di Padellaro e Travaglio, è un altro estratto, anzi, uno stralcio. Quello dell'ordinanza di arresto del prefetto Franco La Motta.

Nello specifico un passaggio in cui il gip di Roma, per motivare il rischio di inquinamento delle prove da parte dell'uomo poi arrestato, parla delle «aderenze» del prefetto, riportando una nota del Ros su due telefonate intercettate a La Motta. Che chiama prima un tal Ferdinando Esposito - identificato dal Ros nel pm milanese figlio di Antonio - a cui rivolge un frettoloso saluto «affettuoso» per poi liquidarlo, e poi un altro Ferdinando, al quale chiede di far da «ponte» con il padre. Il secondo Ferdinando, che usa un'utenza dell'amministrazione penitenziaria (utenza presente anche nell'annuncio di vendita di una moto messa online da un certo ferdinando.esposito), non è il pm ma il suo omonimo cugino, come hanno appurato dopo la notifica dell'ordinanza gli investigatori. Il Giornale ha ricostruito, basandosi su quegli atti giudiziari che sono gli stessi in seguito depositati al Riesame, quel passaggio della nota del Ros. Spiegando chiaramente la strana successione delle telefonate e l'unica individuazione certa al momento in cui l'ordinanza è stata redatta: quella della prima utenza. E mantenendo la stessa cautela di Ros, procura e inquirenti sull'identità del secondo Ferdinando. Il passaggio sulle «aderenze» con le due telefonate ai «Ferdinandi», tra l'altro, aveva avuto ampio risalto su diverse testate il 15 giugno scorso, giorno successivo all'arresto. Non sul Fatto quotidiano, che pur riportando ampi stralci dell'ordinanza s'è limitato a citare generiche «aderenze» da quest'ultimo vantate.

Il non aver intercettato la precisazione post-arresto della procura, diffusa solo il giorno dopo e via agenzia di stampa, mica recapitata in redazione, è dunque «il falso più falso» per il Fatto. Che è più fortunato.

Quando per esempio a giugno 2012 il quotidiano di Padellaro ha raccontato di pranzi tra il pm Ferdinando Esposito e il «presunto riciclatore della 'ndrangheta» Giulio Giuseppe Lampada, il giovane Esposito, per smentire, ha girato la richiesta di rettifica direttamente al quotidiano, che l'ha pubblicata in calce e via in pace.

A noi, ovviamente, non è invece bastato darne conto il giorno dopo il pezzo, dopo aver intercettato - meno male - l'ennesima richiesta di querela dell'alto magistrato.

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