Giorgio Albertazzi entra oggi nella bella età di novant'anni. Dico bella non per modo di dire. Alla bellezza Giorgio ha dedicato la sua vita; la bellezza dei versi, del teatro, delle donne.
Un vero dandy. Non a caso oggi festeggia recitando D'Annunzio. Con lui scrissi alcuni anni fa un manifesto della bellezza e dedicai un recital a Plotino, filosofo del bello. Ora tocca la bellezza di novant'anni e a quell'età val la pena arrivarci se resti lucido e leggiadro come lui. Tra i classici non s'invecchia e lui è vispo tra i millenni andati, recitando Edipo, Adriano, Amleto. Benigni rende Dante contemporaneo, Albertazzi invece si fa lui contemporaneo di Dante; va lui a trovarlo, non lo costringe al presente.
Sarà il suo fiorentino antico e non giullare, mediceo e non renziano; sarà che ha per compagna Pia de' Tolomei, di cui Dante incontra l'omonima antenata in Purgatorio; sarà il suo stile, e il carisma dell'età, ma Giorgio sembra uno della comitiva di Dante, insieme a Guido e Lapo «presi per incantamento e messi in un vasel».
Albertazzi è l'ultimo grande del teatro italiano, dopo che Bene, Gassman, la Falk e la sua compagna Anna Proclemer sono scomparsi.
Non gli perdonano il suo fascismo giovanile a Salò, mai rinnegato ma vissuto con spirito libero e leggerezza, da «perdente di successo» come si definì.Meriterebbe gli onori da un paese fondato sulle belle arti. Ma per quest'Italia ingrata e smemorata il bello è fatuo, l'antico è decrepito e l'arte è servile. Albertazzi è ricco di suo, perché ha quel che ha donato.
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