Cambiare una legge non cambia l'orrore

La migrazione dei popoli è un fenomeno antico come il mondo. Va governato. Stroncarlo è impossibile. Lo insegna la storia

Cambiare una legge non cambia l'orrore

Non c'è niente da dire e molto da fare dopo la nuova tragedia di Lampedusa: centinaia di morti annegati a mezzo miglio dall'isola dei Conigli. Cosa sia accaduto a bordo dell'imbarcazione non è dato sapere con esattezza né vogliamo accertarlo. Siamo tipi impressionabili e non sopportiamo le crudeltà e neppure il racconto di esse. Quando la notizia della strage è giunta in redazione, ciascuno di noi, vecchie pantegane della cronaca abituate a descrivere il peggio dell'umanità, ha preferito tacere. Nessun commento è uscito dalle nostre bocche, in altre circostanze sacrileghe. Solo una considerazione minimalista: da giorni seguiamo con passione - più apparente che reale - le vicende assurde e disgustose della politica e ora, davanti a tutti questi morti ammazzati in mare ci rendiamo conto di avere perso tempo, inseguendo capricci e follie del Palazzo trascurando - anzi, ignorando - le vere sciagure che funestano la povera umanità di cui facciamo parte senza comprenderne i problemi autentici. Che sono la sopravvivenza, la necessità di salvarsi dalle persecuzioni, l'esigenza di sfuggire ai massacri organizzati dai satrapi e di assicurarsi il minimo indispensabile per tirare a campare.
Coloro i quali sono stati inghiottiti dalle onde sono persone come noi, gente disperata che si era illusa, trovando posto - a pagamento - su una carretta galleggiante, di essere trasportata nel paradiso del benessere e che, invece, a breve distanza dalla terra a cui stava per approdare, ha dovuto scegliere se morire bruciata o affogata.

Solo a immaginare la scena su quel barcone, pieno di bambini, viene l'angoscia. Si stenta a credere che un pazzo abbia potuto compiere uno scempio del genere. Eppure di questo si tratta: una carneficina. E noi che facciamo? Discutiamo se sia giusta o sbagliata la legge Bossi-Fini? Se sia giusto o sbagliato ospitare o respingere i derelitti? Aprire o chiudere le porte? Che vergogna non avere la sensibilità per comprendere i motivi che inducono uomini e donne provenienti da Paesi lontani, dove sono considerati poco più che stracci, a venire qui da noi a pietire un piccolo aiuto allo scopo non di arricchirsi, ma di non crepare. La migrazione dei popoli è un fenomeno antico come il mondo. Va governato. Stroncarlo è impossibile. Lo insegna la storia. Ignorando la quale si diventa velleitari. Chi accusa la ministra Kyenge di essere responsabile di questa e di altre sciagure lo fa in ossequio a direttive politiche insensate, improntate a velleitarismo e cinismo. Piuttosto bisogna invocare l'intervento del governo, cui tocca mobilitare l'Europa affinché predisponga un sistema di accoglienza (o di respingimento nei luoghi di imbarco e non di sbarco) tale da garantire all'Italia un soccorso e una collaborazione, evitandole l'onere di provvedere con le sue forze insufficienti alla sistemazione degli extracomunitari in arrivo. Comodo imporci di ricevere come Dio comanda gli extracomunitari. Intendiamoci. Lo faremmo volentieri, ma non ne abbiamo i mezzi.

L'Ue è obbligata a darci una mano, altrimenti abbiamo due sole strade da percorrere: tollerare le stragi come quella da cui prende spunto il presente articolo, ma ciò sarebbe ripugnante, oppure rinunciare a rimanere legati a Bruxelles nella consapevolezza che l'Unione è una disgrazia e non un'opportunità. Però il nostro governo - dobbiamo riconoscerlo - non ha l'autorevolezza per fare valere i nostri diritti. Figuriamoci quelli dei migranti.

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