L’ultimo verso dell’astronauta poeta

Qualcuno ieri mattina è stato particolarmente felice di venire al mondo dopo un lungo sogno durato sei mesi

Qualcuno ieri mattina è stato particolarmente felice di venire al mondo dopo un lungo sogno durato sei mesi. Non veniva da un letargo ma da un'avventura extraterrestre. È Luca Parmitano, l'astronauta siculo che è stato per sei mesi nello spazio, nella missione soprannominata italianamente «Volare», e che è atterrato ieri nella steppa del Kazakistan.

Me ne parlò per prima Simonetta Di Pippo, Nostra Signora dello Spazio che manda gli astronauti fuori dalle orbite. Scrissi di lui alla partenza, in maggio, invidiandolo a nome di tutti gli italiani perché si tirava fuori dalla mischia, anche se prevedevo che al rientro avrebbe trovato la stessa situazione e purtroppo ci azzeccai. Lui ha scritto sul suo blog note liriche e nostalgiche, si sente Ulisse tornato a Itaca, pregustava il ritorno. Non so quale sarà il bilancio tecno-scientifico della sua missione, ma credo che l'esito principale sia di natura spirituale.

Parmitano ha scoperto che anche se viaggia nello spazio, l'uomo sente come suo impulso principale, insopprimibile, la voglia di tornare a casa, la nostalgia della Terra.

La vera scoperta della sua missione, in parole e foto, è stata poetica ed estetica: la bellezza delle immagini e la commozione che le accompagna mostrano che la molla principale dell'uomo non è l'utile ma l'inutile, il desiderio religioso e poetico di stupirsi, «per seguir virtute e canoscenza». La parola stessa desiderio deriva dalle stelle (de-sidera). Del resto, il primo italiano a esplorare l'infinito si chiamava Giacomo Leopardi.

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