Connessi alla rete, non alla famiglia

L'universo dei connessi in permanenza con la rete ma disconnessi dalla realtà e dalla famiglia è abitato da milioni di solitudini

Connessi alla rete, non alla famiglia

C'è una frase terribile nel film Disconnect di Rubin, uscito ora in Italia, di una ragazzina al suo fratellino in coma per tentato suicidio: non lasciarmi da sola con loro. Loro sarebbero i genitori. In quella frase è concentrato il dramma presente: l'insofferenza verso i propri genitori e la vita del fratello utile solo a ripararsi da mamma e papà. Egoismo puro. Le storie raccontate in questo film intenso e spettrale ruotano intorno alla solitudine, alle vite incomunicanti, al feroce egoismo dei figli, perduti nel mondo irreale del web, e dei loro genitori, incapaci di avere relazioni veraci con loro e tra loro, ma ostinati a inseguirli quando sentono di perderli. Il mondo descritto è il nostro mondo, ma lo visita dal retro, con vista sullo squallore. L'universo dei connessi in permanenza con la rete ma disconnessi dalla realtà e dalla famiglia è abitato da milioni di solitudini. Che cercano sesso e consolazione, raggiro e vendetta, mitizzazione di sé e derisione dell'altro, tramite il collegamento perpetuo nel fantastico mondo wifi. Qui si mostrano i drammi che innesca e il rifugio finale negli affetti domestici. Il mondo globale finisce in una stanza. Solitudini in rete, famiglie sconnesse.

Il web in realtà non è solo desolazione, offre anche grandi possibilità di conoscenza, di aiuto, di vita. Il dramma è quando diventa l'unica fonte di vita e di rapporto col mondo, quando è esito finale e non via d'accesso. Altre connessioni vitali, mentali e affettive occorrono per rendere degna o solo umana una vita.

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