Renzi corre sull'Italicum ma nel Pd saltano i nervi

Il segretario: subito l'ok alla legge elettorale. I suoi fedelissimi in tilt dopo l'annuncio di Brunetta: "Riforma e poi si va al voto"

Renzi corre sull'Italicum ma nel Pd saltano i nervi

Più passano i giorni e più quelli che Matteo Renzi chiama «i conservatori» organizzano la resistenza. Per questo il segretario del Pd vuole che sulla legge elettorale si proceda a passo di marcia, anche a costo di accettare qualche piccolo compromesso, dalla limatura delle soglie alla richiesta di primarie per le candidature, per tener buoni gli oppositori, compresi quelli interni al Pd, della nuova legge elettorale. «La legge elettorale perfetta non esiste, meglio un buon compromesso che l'immobilismo di questi anni», dice il renziano Angelo Rughetti. Che manda una frecciata ad Alfano: «Fa ridere che si erga a paladino delle preferenze, lui che nel 2005 approvò il Porcellum».Letti ieri gli editoriali di politologi (ingelositi dalla firma di D'Alimonte sull'Italicum), gli appelli dei soliti noti contro la nuova legge elettorale, le grida di battaglia pro-preferenze della minoranza Pd e degli alfaniani, Renzi si fa sentire via Twitter: «I conservatori non mollano, resistono, sperano nella palude. Ma l'Italia cambierà, dalla legge elettorale al lavoro. È la volta buona». Sa che l'opposizione interna al Pd sta cercando di uscire dal cul de sac di una posizione oltranzista: «Non possiamo passare per quelli che boicottano le riforme, verremmo travolti. E non vogliamo spaccare il partito», spiegavano i cuperliani alla vigilia della riunione dei parlamentari Pd che fanno parte della Commissione affari costituzionali, ieri pomeriggio. Lo stesso Gianni Cuperlo, nelle ultime 48 ore, si è attivato per richiamare i pasdaran anti-renziani, telefonando allo stesso Pier Luigi Bersani per invitarlo a tener buoni i suoi, che promettevano sfracelli e guerre all'ultimo sangue per introdurre quelle preferenze che lo stesso Bersani, pochi mesi fa, definiva «strumento di discredito del rapporto tra cittadini e politica».

A complicare le cose per il Pd, nel pomeriggio domenicale, sono arrivate le dichiarazioni di Renato Brunetta: «Se si fa la legge elettorale si va a votare. Quando si carica una pistola, probabilmente spara». Che ha costretto i renziani ad una pronta rettifica, con toni assai duri anche per prevenire le ripercussioni interne al partito e la contraerea da Palazzo Chigi, già irritato per il brusco stop del ministro Delrio, molto vicino a Renzi, sul conflitto di interessi: «Il premier non può chiedere al Pd la luna, è chiaro che questo non si può ottenere». A Brunetta replica Lorenzo Guerini, portavoce della segreteria Pd e tessitore della mediazione con Forza Italia: «Forse Berlusconi non ha avuto il tempo di informarlo che l'accordo prevede legge elettorale, superamento del Senato e riforma del Titolo V.

Il capogruppo plachi i suoi bollenti spiriti: nessuna corsa al voto, prima vengono le modifiche costituzionali di cui il Paese», dice. «Non si fa la riforma per andare a votare», rincara Maria Elena Boschi. Emanuele Fiano, a nome del gruppo Pd in Commissione, avverte: «Forza Italia dica se vuole andare avanti sulle riforme o sfilarsi».

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