Accordo con la Lega vicino, Maroni deve convincere Tosi Resta da superare lo scetticismo dei veneti e della baseil Carroccio

MilanoA carte si vince anche bluffando. La partita tra Lega Nord e Cavaliere per le alleanze in Lombardia e alle politiche sembra si giochi al tavolo da poker. Più facile a livello regionale, complicata sul nazionale. Ma prima del 13 gennaio (data ultima per presentare liste e simboli elettorali) il matrimonio d'interessi si farà. Giovedì sera al Tg1 Berlusconi aveva ostentato sicurezza annunciando l'intesa con Maroni. È fatta, questione dei dettagli.
Neanche 24 ore e si torna a parlare di difficoltà tecniche con i veneti. Loro preferirebbero il sindaco di Verona Flavio Tosi in ticket con il segretario del Pdl Angelino Alfano. Oppure, e questa è la carta su cui insistono i vertici del Carroccio nelle ultime ore, Giulio Tremonti candidato premier della coalizione. L'economista di Sondrio che nei mesi scorsi ha presentato il suo movimento 3L «lista lavoro e libertà per la Patria» e ha siglato il patto lombardo e nazionale con Maroni. Sull'ex ministro dell'Economia sarebbe proprio il Cavaliere a dover fare buon viso a cattivo gioco. Non è un segreto che tra l'ex presidente del Consiglio e il suo uomo del Tesoro dalla caduta del governo i rapporti si siano alquanto raffreddati. Lo ha scritto anche Bruno Vespa nel suo ultimo libro e l'episodio è stato al centro di uno scambio velenoso in conferenza stampa proprio tra il conduttore di Porta a Porta e Berlusconi. Ma da parte dell'ex premier c'è disponibilità massima. «Sono pronto a non fare il premier, anche a fare solo il ministro» va ripetendo agli ex alleati ogni giorno pur di ottenere il sì decisivo per sbarrare la strada per il Pirellone a Giorgio Ambrosoli e per intascare il decisivo premio di maggioranza al Senato in Lombardia (27 scranni a Palazzo Madama).
Ma la Lega, fino al consiglio federale di martedì prossimo, tratta e non annuncia scelte definitive. Maroni deve mettere d'accordo le sue anime interne. Se da una parte la base milanese si è dichiarata possibilista (forse anche per l'ipotesi tangibile di mettere le mani sullo scranno più alto Pirellone), Zaia e Tosi sono più restii a dare via libera all'alleanza con il Pdl. Gli aut aut del Cavaliere («O con noi o cascano le giunte di Piemonte e Veneto») sono stati vissuti come tentativi di «forzare la mano» non necessari.
E poi ci sono gli ormai mitici «umori della base» del Carroccio. I dati di Radio Padania dicono che solo il 24 per cento dell'elettorato leghista sarebbe favorevole all'alleanza con il Pdl se Berlusconi facesse il premier. Ma con il ticket Alfano-Tosi o la carta Tremonti l'impasse sarebbe superata. Ieri Matteo Salvini, ospite di Radio anch'io, ha lasciato intendere che l'ultimo ostacolo è Berlusconi candidato premier. «Con lui difficilmente si parlerebbe di ticket sui farmaci, di cose concrete, ma di Berlusconi e di giustizia o di quanto va in tv lui o Monti».
In più il Pdl è pronto a sposare il «diktat» lumbard sulla distribuzione territoriale delle tasse.

Non più tutto a Roma e quindi i fondi rispediti nelle diverse Regioni, ma il 75% delle risorse drenate attraverso le imposte che restano direttamente nelle casse degli enti locali. In sintesi le Regioni, escluse le materie a legislazione statale (difesa, sicurezza e scuola), avrebbero massima discrezionalità. Anche, o soprattutto, nel settore della sanità.

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