Addio a Manganelli Cordoglio bipartisan per il «numero uno»

Il capo della Polizia era malato da tempo. Fu al fianco di Falcone e chiese scusa dopo i fatti del G8 di Genova

Il capo della polizia, Antonio Manganelli
Il capo della polizia, Antonio Manganelli

Roma Da ogni parte politica, da tutta Italia, dalle alte cariche alle società civile. La notizia della morte del capo della Polizia Antonio Manganelli ha colpito al cuore chi ha lavorato per mesi o anni a contatto con lui e chi semplicemente l'aveva conosciuto per poco. Tutta la politica, dalla destra alla sinistra fuori dal Parlamento, ha inviato messaggi commossi di cordoglio per il «poliziotto di strada» asceso nel 2007 al massimo vertice della sicurezza del Paese, prendendo il posto di Gianni De Gennaro, di cui è stato per sei anni il vice. Un autentico «servitore dello Stato», lo chiamano ora tutti, senza distinzione di schieramento politico.

Manganelli, 62 anni, è morto all'ospedale San Giovanni di Roma, dove era ricoverato da tre settimane a seguito di una lunga malattia. Operato per un edema al cervello, lunedì si era aggravato. Uno dei primi e più intensi messaggi è arrivato dal ministro dell'Interno Anna Maria Cancellieri, che lo «ringrazia, rimpiange e ricorda», mandandogli un «addio carissimo»: «Era un numero uno come poliziotto e per le sue qualità morali». Piangono Manganelli anche molti sindacati di polizia. Il Sap: «Prima di essere un grande poliziotto, è stato soprattutto un grande uomo», che ha affrontato anche la malattia con «dignità e forza». Il Silp Cgil ne parla come «di una figura autorevole». Il Siap: «Il ricordo del capo rimarrà indelebile nella memoria di tutti i poliziotti». Il Sappe: «Scompare un uomo onesto e valoroso». Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano esprime «solidarietà e cordoglio sincero». Silvio Berlusconi, con il cui governo Manganelli ha lavorato per tre anni ricorda «il grande valore» e «l'innato equilibrio» del capo della polizia. «Ciao Antonio - lo saluta su Twitter l'ex ministro dell'Interno Roberto Maroni - maestro di vita e amico vero. Rimarrai per sempre nel mio cuore». Nichi Vendola lo definisce «un sincero democratico». Un poliziotto «che sapeva chiedere scusa - lo ricorda Veltroni - e per me un amico». Messaggi sono stati inviati anche da Diliberto del Pdci, dal candidato di rivoluzione Civile Ingroia, da moltissimi esponenti del Pdl e del Pd, dalla Croce Rossa, dall'Arcigay.

Nato ad Avellino nel 1950, Manganelli dopo la laurea in Giurisprudenza a Napoli si era specializzato in Criminologia clinica a Modena. Negli anni '70 ha costruito una notevole esperienza soprattutto nella gestione dei sequestri di persona e all'antimafia, diventando successivamente uno degli investigatori più fidati di Giovanni Falcone in Sicilia. Ha diretto il Servizio centrale di Protezione dei collaboratori di giustizia, poi lo Sco (il Servizio centrale operativo) ed è stato questore a Palermo e a Napoli. Durante i sei anni della sua guida della polizia, sono stati catturati moltissimi latitanti, come i boss di Cosa nostra Giovanni Arena, Sandro e Salvatore Lo Piccolo, i boss camorristi dei Casalesi Michele Zagaria e Giuseppe Setola.

Chiese scusa, in effetti, dopo la sentenza del 6 luglio 2012 sul G8 di Genova: questo, disse Manganelli, è «il momento delle scuse». Soprattutto ai cittadini «che hanno subito danni, ma anche a quelli che, avendo fiducia nell'istituzione-Polizia, l'hanno vista in difficoltà per qualche comportamento errato».

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