L'osservazione disincantata della realtà consente di prevedere che questo povero governo, nato dalla disperazione, non durerà a lungo. Non tanto per gli attacchi che riceve da chi dovrebbe sostenerlo, quanto perché è del tutto evidente la sua incapacità di fare cose diverse da quelle esiziali cui si attribuisce il disastro italiano.
Probabilmente Enrico Letta, all'inizio dell'esperienza a Palazzo Chigi, era animato da sacro fuoco, tipico del novizio, e convinto di avere a portata di mano buoni risultati, come dimostrava il misurato ottimismo col quale si esprimeva nei discorsi programmatici. Ma con l'andare del tempo - poche settimane, invero - egli è andato sempre più assomigliando a Mario Monti. E, come questi, ora mostra di subire una pericolosa pulsione autodistruttiva. Se non reagisce in fretta, di sicuro arriverà al suicidio; politico, s'intende.
Bisogna riconoscergli di aver avviato parecchie iniziative lodevoli, peccato che non ne abbia portata a termine una, se si esclude la legge sul femminicidio, la meno importante ovvero la più inutile, per non dire dannosa, perché introduce nel nostro ordinamento discriminazioni di genere.
Esemplifico. Se io picchio mia moglie, la giustizia mi costringe a uscire di casa per evitare la reiterazione del reato. Ma se è mia moglie a picchiare me, che succede? Zero. Mi prendo le botte poiché la legge non mi tutela. Un po' come si voleva fare con i gay. Insultare un omosessuale non si può, giusto; insultare un eterosessuale sarà pure sbagliato, ma insomma, non è il caso di esagerare con le punizioni. Va' a capirli i progressisti politicamente corretti. E queste sono sciocchezze, perciò non la faremo tanto lunga.
Ciò che preoccupa maggiormente è la tendenza dell'attuale premier a barcamenarsi, caratteristica che lo accomuna al predecessore. E anche qui bisogna ricorrere a esempi pratici. Persino uno sprovveduto in materie economiche sa che a forza di aumentare le tasse si finisce per penalizzare i consumi, la produzione, l'occupazione e addirittura i cespiti fiscali. Quindi, inasprire i tributi non serve a sconfiggere la crisi, semmai la si incrementa. Sarebbe come sottoporre un anemico a prelievi di sangue quando, invece, necessita di trasfusioni per ristabilirsi.
Facile a dirsi. Letta è consapevole che l'Iva è preferibile non aumentarla e che l'Imu sulla prima casa è da abolirsi. Ma non se la sente di procedere secondo logica, per un motivo banale: non è in grado, causa opposizioni interne alla propria maggioranza, di compensare un momentaneo calo degli introiti fiscali con una proporzionale diminuzione della spesa corrente. Spesa che a parole, da trent'anni, chiunque afferma che si debba tagliare, ma che nessuno osa sfiorare con le cesoie.
Calzante la classica metafora della coperta troppo corta: o ti raffreddi i piedi o le spalle. Delle due, l'una. Se riduci le tasse crei le premesse affinché le imprese tornino a essere competitive, quindi a vendere i loro prodotti e ad assumere personale che poi avrà i soldi per consumare. Se invece non fai niente di tutto ciò e, al contrario, continui a martellare con le tasse, raccatti denaro nell'immediato, ma il Pil (la ricchezza nazionale) andrà ancora più giù e il Paese si impoverirà ulteriormente. Dato che questi sono concetti elementari, suppongo che gente come Monti e il suo epigono Letta li abbia acquisiti da quando frequentava l'università. Se dunque l'attuale presidente del Consiglio ha trascurato e trascura di tradurli in azione politica non è certo per ignoranza o dabbenaggine, ma perché ogniqualvolta ci ha provato ha sbattuto contro un muro. Il muro dei partiti che, da decenni, antepongono i loro (presunti) interessi di bottega a quelli nazionali, perpetuando una situazione di stallo: il mondo va avanti e noi rimaniamo fermi, cosicché scivoleremo verso gli ultimi posti della classifica economica.
Ecco il problema. Cui se ne aggiunge un altro. Se non ce l'ha fatta Monti, e se Letta ne ripercorre il cammino, fatalmente in autunno il governo in carica alzerà bandiera bianca.
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