Alcoa, in 500 bloccano Roma: prove di autunno caldo

La protesta dei lavoratori sardi a Roma degenera nella violenza: venti feriti. Aggredito il pd Fassina. Prorogato di un mese lo spegnimento dell'impianto sull'isola

Roma - I falò e la catena dei 550 operai davanti al ministero dello Sviluppo economico. I lavoratori Alcoa - tra i quali figurano anche i tre operai rimasti per quattro giorni sul silo, a 66 metri d'altezza - che urlano la loro disperazione nel corteo che si sviluppa per le strade di Roma contro la chiusura dello stabilimento di Portovesme in Sardegna. Le magliette nere con la scritta «Disposti a tutto». Il tentativo, respinto, dei manifestanti di forzare il cordone di sicurezza che impedisce l'accesso a via Veneto e il conseguente lancio di bottiglie, lamine d'alluminio e bombe carta, una delle quali scoppiata nell'ingresso del ministero. La sequenza degli slogan: qualcuno pesante all'indirizzo di Passera, altri contro il premier Mario Monti e parole esplicite all'indirizzo del ministro del Lavoro: «La Fornero al cimitero». Poi le cariche, la paura, la violenza per un bilancio di 14 feriti tra le forze dell'ordine e di almeno due tra gli operai. Senza dimenticare la mini-aggressione al responsabile Economia del Pd Stefano Fassina, spintonato e allontanato dal corteo a suon di insulti e sputi. «Abbiamo contestato Fassina, e Bersani è meglio che rimanga dov'è. Tutti i politici, anche Alfano, Casini si dimentichino del nostro voto. Noi vogliamo lavorare, non vivere di assistenzialismo». Un episodio minimizzato dallo stesso Fassina. «É un momento duro, mentre parlavo un gruppetto di lavoratori è stato piuttosto aggressivo, altri mi hanno scortato fuori dalle transenne».
È una giornata ad alta tensione quella che si vive nel centro storico di Roma. Un crescendo che si stempera nel pomeriggio quando va in scena l'incontro tra Corrado Passera, Claudio De Vincenti, Michel Martone, i rappresentanti dell'azienda, le rappresentanze sindacali e il presidente della Regione Ugo Cappellacci. Il ministro dello Sviluppo, alla fine, pattina su dichiarazioni necessariamente scivolose e prudenti. «Non ho mai pensato che fosse un caso impossibile. Faremo molta pressione sui due gruppi che hanno manifestato interesse ma lavoriamo in parallelo su tutto quello che può dare sviluppo al Sulcis. Garantisco il mio impegno personale, troveremo altre risorse oltre a quelle di Regione e Provincia». Insomma alla fine il risultato del confronto è l'impegno per uno spegnimento più graduale delle celle, inizialmente previsto per il 15 ottobre e prorogato di un mese, e la sollecitazione alle imprese - le multinazionali Klesch e Glencore che hanno manifestato interesse - ad avviare in tempi rapidi le negoziazioni.
Quel che è certo è che l'Alluminium Company of America, l'Alcoa - terzo gruppo mondiale dell'acciaio con 61mila dipendenti, fatturato da 25 miliardi di dollari e 614 milioni di utili nel 2011 (in crescita rispetto al 2010) - non sembra intenzionata a tornare sui suoi passi. Così come appare tristemente scontato che la protesta dei lavoratori sardi rappresenti soltanto la prima scintilla di un incendio destinato a divampare nei prossimi mesi con l'incedere della crisi. La divulgazione dei nuovi dati Istat con la revisione al ribasso del Pil nel secondo trimestre 2012 conferma questa sensazione. Il calo è dello 0,8% rispetto al trimestre precedente e del 2,6% rispetto al secondo trimestre 2011. La stima di agosto indicava invece un calo dello 0,7% e su base annua del 2,5%. Il tutto accompagnato da un crollo della spesa delle famiglie del 3,5%, con un meno 10,1% degli acquisti di beni durevoli, del 3,5% dei non durevoli e dell'1,1% dei servizi. Dati tutt'altro che anonimi, figli di situazioni che incidono quotidianamente sulla pelle degli italiani. Basti pensare che allo Sviluppo economico sono oltre 150 i tavoli di crisi, con più di 180mila lavoratori coinvolti e 30mila esuberi annunciati. Aziende un tempo floride come la Carbosulcis, la Lucchini, la Natuzzi o l'Omsa in difficoltà manifesta.

Susanna Camusso che torna ad agitare lo spettro dello sciopero generale. E una geografia dell'emergenza lavoro che fa capire come l'unica cosa che si illumini davvero alla fine del famoso tunnel siano le liste dei cassaintegrati.

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