Politica

Gli alfaniani al lavoro per ricucire con il capo

La rottura è rimandata, i dissidenti sanno che senza Berlusconi il partito rischia di dilapidare i consensi

Il ministro dell'Interno Angelino Alfano
Il ministro dell'Interno Angelino Alfano

Giovedì la tragedia di Lampedusa, ieri il sì della Giunta alla decadenza di Silvio Berlusconi. Due choc che hanno messo in freezer l'attivismo dei «diversamente berlusconiani» (che qualcuno inizia a chiamare «slealisti», contrapponendoli ai fedelissimi del Cav), allontanando la scissione dei gruppi parlamentari. Accelerare in uno dei giorni più neri del leader massimo avrebbe fatto apparire gli alfaniani come antiberlusconiani e questo, il vicepremier lo sa bene, è il rischio più grave degli scissionisti del Pdl.

Quindi adelante con juicio. Avanti piano. Almeno in superficie. Perché poi, in profondità, le fibrillazioni continuano, le trattative vanno avanti, le conte sono sempre frenetiche. Ieri Palazzo Grazioli è tornato ad animarsi con un vertice tra Berlusconi, Angelino Alfano e i capigruppo del Pdl al Senato Renato Schifani e alla Camera Renato Brunetta. Sul tavolo le possibilità di salvare l'unità del partito. Gli unitaristi prendono campo grazie alla volontà di Berlusconi e all'opera di pontieri come Maurizio Gasparri e Altero Matteoli. Alfano non ha forzato la mano, vuole vedere questo dialogo ad oltranza dove possa portare, ma sul piatto la posta resta quella: per i filogovernativi il partito può restare unito sulla base dell'ingabbiamento dei falchi, della consegna delle chiavi del partito al segretario riservando a Berlusconi un ruolo da padre spirituale, della catena decisionale democratica. Insomma, una normalizzazione del partito.

Ieri è stato Fabrizio Cicchitto, tra i leader delle colombe mannare, a disegnare uno scenario quasi idilliaco: «Berlusconi esprime un ruolo carismatico in grado di aggregare il popolo di centrodestra, Alfano può essere invece il presente e il futuro del centrodestra e un riferimento per le realtà europee che sono in campo, nonché una faccia nuova, quindi la loro combinazione è fondamentale. Ma Alfano deve essere messo nelle condizioni di avere un rapporto positivo con Berlusconi e non di scontro». Insomma, la dialettica tra il presidente e il suo (ex?) delfino farebbe felici tutti. Non certo l'altra componente del Pdl, contro cui si scaglia Cicchitto: «Il Pdl va defalchizzato e non deberlusconizzato», con l'obiettivo di «costruire un grande partito moderato riformista e garantista».

Gli alfaniani con modi soavi stanno giocano al tutto o niente. Consapevoli che un Pdl senza Berlusconi, l'azionista di maggioranza dell'elettorato, andrebbe incontro all'effetto Fini. Tutto o niente. Mettendo Berlusconi al centro del villaggio, come direbbe Rudi Garcia, il carismatico allenatore della Roma. In questo senso vanno lette le parole di Raffaello Vignali, «lupiano» di ferro, in una lettera pubblicata dal Sussidiario.net: «Non possiamo andare contro il popolo». Amen. «C'è chi si è accorto che in gioco era l'Italia in un momento molto particolare, e ha saputo anche riconoscere, cogliere un grido che veniva dal Paese. Questa capacità e anche questa responsabilità dovrebbe essere ciò che caratterizzerà una nuova stagione di un centrodestra maggioritario come quello che Berlusconi seppe creare nel 1994», dice il ministro Gaetano Quagliariello.

«Abbiamo evitato che all'interno del partito si affermasse una linea del tutto in contrasto con i valori costitutivi del Pdl-Fi, la quale, se fosse prevalsa, avrebbe innescato un processo di instabilità e ingovernabilità tali da provocare danni irreparabili al Paese», analizza il deputato Alessandro Pagano.

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