Alfano chiama il partito alla guerriglia in aula Ma i suoi si spaccano

Il vicepremier detta la linea: pressing su Grasso per difendere la democrazia. Tra i governativi però c'è chi invita alla prudenza

Alfano chiama il partito alla guerriglia in aula Ma i suoi si spaccano

«La decisione del voto palese è la violazione del principio di civiltà che regola, da decenni, il voto sulle persone. In sede parlamentare, dove si è consumato questo sopruso, sarà battaglia per ripristinare il diritto alla democrazia». Nel tardo pomeriggio è Angelino Alfano a rompere il silenzio e a dettare la linea di reazione «parlamentare» allo strappo sul voto palese. Una sorta di annuncio di «guerriglia» che potrebbe portare a iniziative forti, con la chiamata in causa del presidente del Senato, Pietro Grasso, corresponsabile di quello che viene vissuto come uno «sfregio», oltretutto gratuito e inutile.
L'uomo che avrà il compito di richiamare alle sue responsabilità il numero uno di Palazzo Madama sarà Renato Schifani. Toccherà a lui, martedì alla ripresa dei lavori d'aula, prendere la parola per stigmatizzare l'accaduto, denunciando il vulnus alla democrazia di una decisione senza precedenti. E si cercherà di spostare il pronunciamento dell'aula sulla decadenza a dopo l'approvazione della legge di stabilità, quindi verso fine novembre.
Ma al di là delle misure di rappresaglia parlamentare, resta da vedere quali effetti queste fibrillazioni avranno sul governo. Quagliariello precisa, ed è un messaggio, che il viaggio di Letta Jr. durerà fino al 2015: «Se si va alle urne adesso si ripeterebbe lo stesso caos di sei mesi fa». Cicchitto dice che «Il Pdl non deve cadere nella trappola del Pd». Quale? Far cadere il governo dando la colpa a Berlusconi. Conclusione: non bisogna sfiduciare Letta. Le sfumature delle «colombe» insomma sono varie e di diversa intensità.
In realtà Berlusconi lo ha detto chiaro e tondo e ha alzato il pressing sui ministri: all'indomani della decadenza appoggiare ancora il governo sarebbe un'offesa per la nostra storia. La tesi di Alfano, invece, è quella dell'inutilità dello strappo. Perché Giorgio Napolitano non manderà il Paese alle urne e il Pdl si ritroverà marginalizzato, all'opposizione, con una maggioranza pronta a votare qualsiasi provvedimento anti-Mediaset.
La partita interna agli «innovatori-alfaniani» segue uno schema consolidato con alcuni dirigenti tra cui Roberto Formigoni e Carlo Giovanardi che spingono per scissione e gruppi autonomi e Alfano e Lupi che frenano. Questi ultimi avrebbero anche fatto presente agli altri che il matrimonio con i centristi sic et simpliciter sarebbe solo «un'unione di debolezze».
In ogni caso il governatore calabrese Giuseppe Scoppelliti, «alfaniano doc» non vuole neppure sentir parlare di conta al Consiglio Nazionale. «La partita va chiusa entro i prossimi dieci giorni. Dobbiamo trasformare quell'appuntamento in un momento di grande rilancio e mostrare che mentre Renzi diventa uomo solo al comando da noi, accanto a Berlusconi, si consolida una squadra di giovani pronti a coadiuvarlo». Sul fronte dei falchi, però, il malumore per una reazione troppo soft è palpabile.

E se Giancarlo Galan invita Alfano «a firmare la mozione Berlusconi» e Domenico Scilipoti evoca lo spettro del fascismo nell'uso del voto palese, Sandro Bondi lamenta «l'eccesso di dichiarazioni di facciata». Insomma il messaggio è chiaro: chi si illude che questo voto possa non avere conseguenze politiche si sbaglia. E di grosso.

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