Un patto, o un'altra riunione, o almeno un pezzo di carta. Non chiede tanto Angelino Alfano, gli basta uno straccio di documento, un foglietto sul quale scrivere che le sorti del governo sono separate dalla decadenza di Silvio Berlusconi, una scusa per dire ai suoi: «Visto? Non possiamo rompere». Ci prova e ci riprova il ministro dell'Interno, e alla fine al Cav strappa meno di una promessa, e cioè l'«ipotesi» di convocare l'ufficio di presidenza. Ma non ci sono le condizioni, l'«ipotesi» sfuma nel giro di un'ora e in serata si consuma lo strappo: «Non aderiamo a Forza Italia, i nuovi gruppi sono pronti». Nasce Nc, il Nuovo centrodestra. E il Cav? «Siamo amici, lo sosterremo dal governo».
Brutta cosa il complesso di Edipo. Alfano è dilaniato. Eppure si era preparato, sapeva da tempo che prima o poi, dopo una decina d'anni di delfinato, sarebbe arrivato il momento della scelta. Dice alla radio il redivivo Gianfranco Fini, uno che di rotture se ne intende: «Capisco il travaglio personale di Angelino. Senza scomodare la psicoanalisi, è chiaro che qui si tratta di una rivolta contro il padre, perché lui deve tutto a Berlusconi».
Ebbene, il momento è arrivato. Il quid forse. «Le leadership si costruiscono nel tempo - ha detto una volta il vicepremier - e si forgiano nelle difficoltà». Non deve essere facile dire di no al Cavaliere, trattare da pari e pari e ingaggiare un braccio di ferro con uno a cui dai ancora del lei. Così, quando nel pomeriggio entra a Palazzo Grazioli per l'ultima mediazione impossibile, Alfano si fa accompagnare da Maurizio Lupi, un po' per farsi forza, un po' per fare vedere che anche lui è un leader. Infatti, dopo un'ora ecco arrivare il resto dei ministri del Pdl, le colombe, i «traditori attaccati alle poltrone», come le definiscono gli altri.
Un pacchetto di mischia, l'immagine plastica di un gregario che vuole diventare caposquadra. Vicepresidente del Consiglio, ministro dell'Interno, segretario di un partito sia pure in via di scioglimento come il Pdl, Angelino gestisce un potere, ha una sua corte e una sua corrente, dispone di deputati e senatori. Anche Angelino, nel suo piccolo, ha i suoi falchi e le sue colombe. Lupi che lo invita a trattare e Cicchitto che vuole andare alla scissione.
Ecco, forse il punto è proprio questo: il vicepresidente del Consiglio, dopo la vittoria del 2 ottobre con il voto di fiducia al governo, si è spinto troppo il là per poter tornare tranquillamente nei ranghi. Chissà, magari davvero è una trappola, ma ormai Alfano è dentro. Se non ci sono garanzie, dice, meglio non partecipare al Consiglio nazionale dove i «bulgari» saranno in stragrande maggioranza. Ma poi quando si ritrova di nuovo di fronte a Berlusconi, i dubbi ritornano tutti. Meglio rompere e rischiare di fare la fine di Fini, o rientrare nelle fila e rischiare una definitiva marginalità?
Il vertice dura diverse ore. Berlusconi cerca tenere il partito unito e vuole che Angelino resti con lui. Alfano nemmeno se la sente di dare il via a una scissione, sia per motivi politici sia sentimentali: il rapporto con il Cavaliere è sempre fortissimo. Così le prova tutte prima di arrivare alla conta. Ma le parole d'affetto di Silvio, l'assicurazione che Forza Italia «non sarà un partito estremistico» non può bastare. Soprattutto non basta ai suoi ultras, che lo spingono alla svolta.
Dopo il gran consulto a Palazzo Grazioli, gli alfaniani si riuniscono all'hotel Santa Chiara e studiano le prossime mosse. Disertare il Consiglio nazionale, depositare le firme per i nuovi gruppi parlamentari e annunciare Nc: «Mi trovo qui per compiere una scelta che non avrei mai pensato di compiere. Hanno prevalso gli estremisti».
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