Aiuto di Stato oppure no? La vexata quaestio dopo l'aumento di capitale di Alitalia sta tutta sull'intervento delle Poste. Anche i liberali dell'Istituto Bruno Leoni (Ibl) hanno inviato una segnalazione alla Commissione Ue per «aiuti di Stato illegali», asserendo che la partecipazione del gruppo guidato da Massimo Sarmi, in quanto controllato al 100% dal Tesoro, «rappresenta una distorsione della concorrenza finalizzata a impedire l'uscita dal mercato di Alitalia e l'ingresso di nuovi operatori». E pure a Bruxelles ci si convince sempre più che lo Stato italiano avrebbe fatto meglio a tenersi fuori. La Commissione Ue «si aspetta una notifica dall'Italia», ha dichiarato il portavoce del commissario Ue alla concorrenza, Joaquín Almunia. Il quale ha ben presente le rimostranze di British Airways alle quali da ieri si sono aggiunte quelle dell'Istituto Leoni e del Codacons.
Ma si può derubricare la vicenda a un'intromissione della mano pubblica? Secondo il presidente dell'Antitrust, Giovanni Pitruzzella, «non si può parlare di politica protezionistica perché il governo sta cercando una partnership internazionale». E, in fondo, anche i numeri confermano la tesi. Bisogna partire dalla valutazione di 50 milioni assegnata alle vecchie azioni Alitalia, dai 95 milioni di prestito convertibile sottoscritti dai soci (Intesa, Air France-Klm, Immsi, Riva e Atlantia) a febbraio e dal nuovo aumento da 300 milioni. Quanto avrà Poste del nuovo capitale (445 milioni) se dovesse mettere sul piatto i 75 milioni stanziati che, come ha assicurato il presidente della Cassa Depositi e Prestiti Bassanini non saranno attinti dal risparmio postale? Solo il 16,85%, una quota di minoranza.
Certo, un socio di minoranza può avere influenza strategica. Ma nel caso di Alitalia sarà sicuramente limitata. Se Air France dovesse aderire garantendo 75 milioni (corrispondenti al 25% attualmente detenuto), la sua partecipazione salirà al 28,2 per cento. Vanno infatti considerati i 38 milioni investiti nel bond convertibile che saranno immediatamente trasformati in nuove azioni. Per i francesi, inoltre, sarebbe sconveniente rinunciare a quella sorta di diritto di veto che conferiscono le azioni di classe B in loro possesso, con il quale possono bloccare eventuali partner sgraditi.
Considerato che Atlantia (26,7 milioni), Immsi (21 milioni) e Intesa (26 milioni) si sono già impegnati a sottoscrivere, che il gruppo Riva è commissariato e che i piccoli soci di Alitalia, a partire da Fonsai, difficilmente immetteranno nuove risorse, è plausibile che con Poste intervenga il consorzio Intesa-Unicredit con altri 76 milioni. A quel punto Ca' de Sass (88 milioni di impegno totale) avrebbe il 20% circa, mentre Piazza Cordusio poco meno del 9%. Il 30% di Alitalia sarebbe in mano alle banche che, assieme, sarebbero il primo socio.
E il perché è presto spiegato: quei soldi garantiscono la continuità aziendale di Alitalia, a sua volta pesantemente esposta verso
gli istituti (600 milioni circa più 200 milioni di nuova finanza che sostituiranno il debito in scadenza a breve). E aumentare il monte delle perdite su crediti in un periodo già duro per le banche non conviene a nessuno.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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