Altro che paura del Cav lo spread si abbassa Quante bufale sui mercati

Dopo il "lunedì nero" Monti, Bersani e la stampa dei poteri forti hanno dato la colpa alla rimonta del Pdl: subito smentiti dalle Borse

Una vista dal'alto del palazzo della Borsa in piazza Affari
Una vista dal'alto del palazzo della Borsa in piazza Affari

Nel gergo della Borsa è chiamato «rimbalzo». Ovvero, la reazione positiva del mercato a un crollo precedente. È quanto accaduto ieri a Piazza Affari, protagonista di una sorta di psicodramma lunedì, con un avvitamento degli indici del 4,5%, ma risalita appena 24 ore dopo dell'1%. Un recupero accompagnato dal contestuale raffreddamento dello spread tra Btp e Bund tedesco dai 290 punti dell'apertura a quota 280. In genere, il cosiddetto rimbalzo è generato da una corrente di acquisti alimentata da chi coglie l'opportunità di quotazioni tornate a essere appetibili. Questo accade solitamente in condizioni di normalità. E qui sta il problema. Il crollo di inizio settimana, a detta di molti analisti e commentatori, era riconducibile all'arrampicata nei sondaggi di Silvio Berlusconi. Gli orchestrali del Wall Street Journal e del Financial Times ci hanno all'unisono ricordato che il Cavaliere ha promesso, in caso di vittoria elettorale «di capovolgere le attuali prudenti politiche sul fronte del bilancio».
Ebbene, se davvero sono queste le motivazioni alla base del fuggi-fuggi lunedì, ieri non doveva esserci nessun rimbalzo. Perché nulla è cambiato nel programma berlusconiano: l'Imu verrà abolita e restituiti agli italiani i quattrini pagati sulla casa. Resta dunque il fondato sospetto che il piffero suonato dai due quotidiani economici sia stato sfruttato da chi aspettava le bad news per incassare le plusvalenze realizzate nell'ultimo periodo e far leva sul (quasi) panico creato per ricomprare l'indomani a prezzi più bassi. Peraltro, è quanto già successo con le dimissioni di Mario Monti, accompagnate dal coro di prefiche disperate per le sorti dell'Italia e dall'immediata caduta degli indici. Tempo un paio di giorni, e tutte le perdite erano già state riassorbite.
Fin qui, stiamo parlando di pura speculazione, priva di secondi fini. Ma la débâcle di lunedì potrebbe anche essere letta come una sorta di avvertimento dato all'Italia affinché voti in un certo modo. L'accoppiata Bersani-Monti viene vista dai mercati come una garanzia che il Paese continuerà a muoversi lungo il binario tracciato dalla Germania. Un rispetto dell'ortodossia tedesca che si tradurrebbe in altro rigore, seppur a discapito di quella crescita economica affossata dal governo dei tecnici a colpi di tasse.
Nei mesi scorsi, quando la crisi era all'acme, si è più volte parlato non a caso di «dittatura dello spread». Il surriscaldamento dei tassi d'interesse pagati sul nostro debito è una formidabile arma di ricatto. Soprattutto se i rendimenti dovessero schizzare così in alto da rendere inevitabile l'intervento della Bce. Un disastro. L'attivazione dello scudo anti-spread, cioè l'acquisto dei nostri bond, costringerebbe infatti l'Italia a sottoporsi a condizioni così stringenti in materia di politica economica da legare le mani al prossimo esecutivo.
È un pericolo da evitare. Anche perché nei prossimi mesi la guerra della valute in atto rischia di impattare seriamente sul made in Italy. Un rischio che Berlino non corre: nonostante l'euro forte, nel 2012 l'export è rimasto sugli stessi livelli dell'anno prima.

E a François Hollande, che ieri chiedeva «una politica dei tassi di cambio», il ministro tedesco dell'Economia, Philipp Roesler, ha risposto così: «Il problema è la competitività, non il cambio». Insomma: «Problemi vostri, non nostri». Come sempre.

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