Politica

Altro che riformisti, si rischia un governo di cattocomunisti

Nelle migliori intenzioni vuol essere un'alleanza dei riformisti, nelle peggiori rischia di diventare un calderone di cattocomunisti. Il progetto di un accordo post elettorale tra il magma centrista che vede in Monti il suo leader ideale e il Pd è un'ipotesi giocata a carte scoperte

Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il premier Mario Monti
Il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e il premier Mario Monti

Roma - Nelle migliori intenzioni vuol essere un'alleanza dei riformisti, nelle peggiori rischia di diventare un calderone di cattocomunisti. Comunque l'asse è segnato. Benedetto al centro, obbligato a sinistra, il progetto di un accordo post elettorale tra il magma centrista che vede in Monti il suo leader reale o ideale e il Pd di Bersani (con l'incognita di Vendola, che rischierebbe lo stritolamento) è un'ipotesi giocata a carte scoperte. Talmente scoperte che ogni giorno, da una parte o dall'altra, si incoraggia questo passo, la rivisitazione di un compromesso storico al contrario, che per la prima volta vedrebbe il centro succube della sinistra, ma che ora viene vista come unica via possibile per allargare i consensi.
Pier Luigi Bersani, intervistato da Sky tg24, ieri l'ha detto con chiarezza: «Io non mi sento alternativo al centro moderato, mi sento alternativo a Berlusconi e alla Lega. Voglio costruire un centrosinistra che abbia disponibilità ad incontrare un centro moderato, europeista, saldamente costituzionale. Sarebbe interessante chiedere a queste formazioni centrali cosa pensano loro del Pd». Bersani fa il prezioso perché sa che i rapporti di forza lo vedono privilegiato: «Dicano loro cosa vogliono fare. Io ho i progressisti, abbiamo fatto le primarie, ho la proposta di programma, aspettiamo di capire come pensano di rivolgersi al Pd». Insofferente su una eventuale candidatura di Monti, chiarisce però: «Se dovessi essere io il premier, parlerei subito con Monti».
Per l'alleanza spinge una parte del mondo cattolico, pur consapevole di una probabile subalternità alla sinistra. L'ex presidente delle Acli, Andrea Olivero, l'ha spiegato in un'intervista a La Stampa senza tentennamenti: «Noi miriamo a prendere un bel po' di voti per contrattare il giorno dopo con il centrosinistra». Senza cattocomunismo, né centro né sinistra possono avere quella maggioranza solida che in questo momento sarebbe auspicabile.
Anche Enrico Letta, dal fronte più centrista del Pd, ribadisce: «Penso che ci sarà una forma di collaborazione, credo sia compatibile con l'essere in campo del Pd e di Bersani candidato premier». Nella prossima legislatura «si governerà con una maggioranza solida».
A sinistra la preoccupazione è doppia: che Berlusconi si rafforzi e che il centro, con il marchio di Monti, strappi troppi voti. Non si contano gli esponenti del Pd che lo ripetono: «Possiamo e vogliamo sviluppare un dialogo con le forze del centro moderato - ha ribadito per esempio Marina Sereni - che vogliono aprire una stagione nuova e chiudere con Berlusconi e il populismo». Pietro Ichino: «Spero che l'asse Bersani-Monti si possa consolidare prima del voto in modo da poter compensare l'eventuale uscita di Sel. Io questo accordo lo cercherei prima del voto e non dopo». Del resto era stato Massimo D'Alema, addirittura a settembre, a confermarlo: «Se vinceremo le elezioni faremo un governo con la sinistra di Vendola e con i moderati di Casini. Noi siamo garanti che si farà questo governo», aveva scandito. Anche se il primo ad annunciare il nuovo compromesso tra cattolici ed ex comunisti era stato proprio Casini, che in un'intervista a Repubblica di giugno lanciò il grande «patto tra riformisti e moderati».

Tutto era previsto.

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