Ama le pagine sulla notte dell'Innominato e la saggezza del poeta tedesco

Città del Vaticano Cita Leon Bloy e Tolkien. Ama le poesie di Hölderlin, I Promessi sposi e Il pranzo di Babette. Papa Francesco lo scopriamo un po' alla volta. È una persona ricca e sfaccettata. Con molti talenti al suo arco. Finora l'abbiamo colto nella veste di pastore, di «parroco del mondo», come titolano un po' pigramente molti giornali. Ma Jorge Mario Bergoglio è anche un gesuita e un uomo di cultura. Con preferenze e predilezioni. Nelle sue letture ci sono i temi del bene e del male, l'amore per la poesia, la ricerca della fede, la critica alla mondanità nella Chiesa e un'idea di cristianesimo non moralistica.
L'altro giorno, all'Angelus, mentre parlava della parabola dell'adultera che Gesù non condanna, Papa Francesco ha citato in mondovisione, ma senza voler fare pubblicità, il libro del cardinal Walter Kasper intitolato Misericordia, «un libro che mi ha fatto molto bene». L'aggiunta non è secondaria, perché le sue citazioni non sono mai ricercatezze speculative, ma hanno sempre un'utilità precisa derivata dal benessere che lui stesso ne ha tratto leggendole. Nella prima messa in Cappella Sistina, per tracciare un'alternativa netta tra bene e male e colpire uno dei suoi bersagli preferiti ha usato Leon Bloy, lo scrittore francese convertitosi al cattolicesimo alla fine dell'Ottocento: «Chi non prega Gesù, prega il diavolo», ha scandito. Serviva per dire che «quando confessiamo un Cristo senza croce, non siamo discepoli del Signore: siamo mondani, siamo vescovi, preti, cardinali, papi, ma non discepoli del Signore». Perché la cosa peggiore che può accadere nella Chiesa, ha detto in un'intervista a Stefania Falasca di 30 giorni, «è quella che Henri De Lubac chiama “mondanità spirituale”». Il giorno dopo, però, in un altro intervento i cardinali li ha incoraggiati, chiamandoli «fratelli». Non facciamoci prendere dal pessimismo. Facciamoci forza, anche se molti di noi «siamo in età avanzata». E per sottolinearne gli aspetti positivi è ricorso al poeta tedesco Friedrich Hölderlin, citato in tedesco: «Es ist ruhig, das Alter, und fromm»: la vecchiaia è il tempo della tranquillità e della preghiera». Una saggezza che bisogna trasmettere ai giovani. Senza caricarli d'inutili rigorismi. Bergoglio ama la testimonianza «che trasmette e facilita la fede». Non una Chiesa che impone condizioni e premesse. Il suo film preferito è Il pranzo di Babette. «Vi si vede un caso tipico di esagerazione di limiti e proibizioni», ha spiegato a Francesca Ambrogetti e Sergio Rubin, autori di El Jesuita. È una comunità immersa in un calvinismo esasperato «a tal punto che la redenzione di Cristo si vive come negazione delle cose di questo mondo. Quando arriva la freschezza della libertà e la gioia di una cena, tutti finiscono trasformati». Bilbo e Frodo del Signore degli anelli simboleggiano invece l'uomo in cammino costretto a scegliere tra bene e male. «Ma è una lotta», ha confidato Bergoglio, «in cui non manca la dimensione del conforto e della speranza. L'uomo in cammino entra nella dimensione della speranza. In tutta la mitologia e nella storia risuona l'eco del fatto che l'uomo non è un essere fermo, stanco, ma è chiamato al cammino». Un cammino che si compie nelle pagine manzoniane della notte dell'Innominato.

Vedendo la gente affluire nella valle si chiede «che diavolo c'è d'allegro in questo maledetto paese? Dove va tutta quella canaglia?». Finché arriva l'incontro con il cardinale Borromeo che Bergoglio descrive così: «Il cardinal Federigo gli andò incontro, con un volto premuroso e sereno e con le braccia aperte, come a persona desiderata».

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