Le ambizioni del premier frenano l'Italicum

Alleati e oppositori temono che Renzi voglia andare subito al voto con la nuova legge

RomaA sentire le voci ufficiali di governo e maggioranza, il traguardo delle riforme sembrerebbe davvero ormai a portata di mano. Sul nuovo Senato, dopo gli incontri di ieri tra il ministro Maria Elena Boschi e Paolo Romani di Forza Italia e Gaetano Quagliariello di Ncd, l'accordo di fondo ci sarebbe, anche se gli aggiustamenti tecnici da realizzare sono ancora molti. E l'ottimismo che circola tra Pd e Fi spinge Beppe Grillo a cercare di inserirsi nella trattativa (anche sulla riforma del Senato, finora rigettata dal M5S) per sparigliare, reclamando una risposta dal premier: «Vogliamo lavorare in modo rapido e responsabile alle riforme, ci stai o no?».

Renzi si dice subito pronto a vederli mercoledì prossimo perché «tutti possono dare una mano», concedendosi anche un po' di sarcasmo: fatemi sapere se intendete incontrarmi come premier a Palazzo Chigi o come segretario Pd al Nazareno, perché non si è capito. E in ogni caso «la prossima settimana l'Italia si gioca una partita importante, c'è molto da fare e non c'è tempo da perdere». Una cosa è certa, sottolineano dal Pd: il proporzionale con preferenze proposto dai grillini «è quanto di più lontano dal tipo di riforma che abbiamo incardinato», come dice il sottosegretario Ivan Scalfarotto, quindi il terreno di incontro è difficile da trovare.

Il premier Matteo Renzi sembra disponibile a concedere molto agli altri contraenti, tenendo fermi i famosi «paletti» da cui ci si era mossi: niente senatori eletti né indennità ad hoc, niente fiducia al governo dalla Camera alta, né voto sulle leggi di bilancio. Su tutto il resto si può discutere. A patto che si sblocchi l'impasse, e che si arrivi finalmente a un primo voto d'aula, che consenta a Renzi di rivendicare di aver mantenuto gli impegni. E di passare entro le vacanze estive al secondo capitolo, che gli sta a cuore quanto se non più del primo, ossia la legge elettorale.

E qui le cose si fanno più complicate. Non tanto nel merito, perché tra gli sherpa dei vari partiti, Pd e Fi in testa, si sta lavorando in parallelo anche sull'Italicum e al momento non risultano ostacoli tecnici insormontabili, quanto sulle prospettive politiche. Alleati e oppositori di Renzi sono uniti dallo stesso timore: una volta varata la legge elettorale, chi può assicurare loro che il premier non avrà la tentazione di usarla, tanto più se potrà fregiarsi dell'alloro di primo capo di governo che riesce a mandare in porto l'epocale riforma del bicameralismo?

È solo un sospetto, certo, ma il ragionamento di un esponente Pd del governo riecheggia le preoccupazioni che accomunano Fi, gli alfaniani e persino i grillini, che non a caso pressano per entrare nell'arena delle riforme: «L'avvio effettivo della revisione costituzionale porta con sé la decisione sulle dimissioni di Napolitano, e quindi la necessità di eleggere un nuovo capo dello Stato», dice un renziano membro dell'esecutivo, «Renzi sa che con questo Parlamento l'operazione sarebbe assai complessa.

Quindi potrebbe avere la tentazione di chiedere a Napolitano di restare al Quirinale qualche mese oltre la fine di quest'anno, per sciogliere le Camere in primavera e lasciare a un prossimo Parlamento più compiutamente “renziano” la scelta del suo successore». Uno scenario per ora tutto ipotetico, ma che potrebbe indurre gli altri partiti, che temono il voto come la peste, a frenare nella curva finale sulle riforme.

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