Agli ex e post comunisti farsi comandare a bacchetta da un ex e post democristiano proprio non va giù. Tantomeno da una ragazzina, il ministro delle Riforme Maria Elena Boschi. Si spiega così l'annuncio di 14 senatori Pd di autosospendersi dal gruppo. I più noti tra loro sono due giornalisti, Corradino Mineo (braccio destro di Curzi al Tg3 ai tempi di Telekabul) e Massimo Mucchetti (velina della finanza rossa al Corriere della Sera), Vannino Chiti (cattocomunista già ministro con Prodi e presidente della Regione Toscana) e Felice Casson (ex toga rossa).
Tutto nasce dalla rimozione, decisa da Renzi, di Corradino Mineo dalla Commissione che si sta occupando delle riforme. La colpa? Faceva melina e intralciava gli accordi, ritardando l'approvazione delle leggi. Dietro l'ostruzionismo, a occhio, c'è però poco di nobile. Mineo politicamente non è nessuno. Nell'ambiente è noto, oltre che come un nostalgico comunista, per il suo egocentrismo e il suo narcisismo. Il suo motto è: io sono la verità, io sono la politica, voi non siete nessuno. Così, quando la bella Boschi gli ha detto: «Corradino basta, qui si fa come dico io», a lui è partito l'embolo. E, pensando di essere ancora un capetto della Rai, ha iniziato una guerra personale, incoraggiato da chi nel Pd non aspettava altro che una occasione per dare una lezione a quell'arrogante di Renzi.
Una prima pattuglia di comunisti è così uscita allo scoperto in segno di solidarietà con l'eroe Mineo. «Non moriremo renziani», è il loro motto. E credo che sia musica per le orecchie del premier che, a mio avviso, non vede l'ora di fare pulizia dei residuati bellici che Bersani aveva sparso nelle liste alle ultime elezioni. Se l'ammutinamento di ieri fosse l'embrione di una scissione a sinistra ne guadagnerebbero sia Renzi che il Paese. A costo - ma è presto per ipotizzarlo - di dover tornare a votare.
Detto questo, non è che il partitone del 40 per cento goda di buona salute. Ieri l'altro l'agguato di decine di franchi tiratori del Pd che ha permesso, nel voto segreto, l'introduzione della responsabilità civile per i magistrati; ieri lo schiaffone al partito della «pecora nera» (così lo avevano definito i renziani) Orsoni, sindaco di Venezia coinvolto nello scandalo Mose.
Tornato in libertà dopo aver raccontato ai pm la sua verità, ha detto serafico: io non mi dimetto, i soldi non li ho presi io ma il partito a mia insaputa. Ladri, prime donne e comunisti nostalgici. A Roma direbbero: aridateci er puzzone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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