RomaDopo tre giorni di decantazione, il tempo delle feste comandate, la ricetta-agenda Monti piace meno che al primo assaggio. Contemporaneamente, e con una severità che desta sorpresa, due testate amiche emettono il verdetto: deludente. Sole24Ore e Corriere della Sera mettono i commenti in mano a editorialisti amici. Eppure. Dall'una e dall'altra parte non compaiono elogi. L'agenda montiana è vivisezionata, e il risultato è molto meno buono delle aspettative riposte sull'aspirante guida del Paese, che in politica dice di voler ascendere, «salire».
Il commento sul Sole24Ore di Guido Tabellini, economista e rettore dell'Università Bocconi fino a due mesi fa, è solo all'apparenza elogiativo. Tabellini parte con un elenco di buone ragioni per cui Monti fa bene a proporsi in politica e a presentare la sua agenda, «punto di volta per la politica italiana», ma poi arrivano le note dolenti. Le mancanze dell'agenda. Le omissioni. Le leggerezze. Primo esempio: «Quali sono i principi a cui dovrà ispirarsi la legge elettorale? L'agenda Monti non lo dice». E «nonostante l'esigenza di abbattere il debito pubblico, in questi tredici mesi non è stata avviata alcuna privatizzazione». Sugli sprechi, poi, troppe banalità. E il programma «suggerisce vari provvedimenti per sostenere la crescita» ma «lo fa in modo poco organico e non molto convincente». Il reddito delle famiglie «è calato di otto punti percentuali». Davvero, domanda Tabellini, «non si può fare nulla se non aspettare il calo dello spread?».
Nel commento accanto, Luigi Zingales, economista collocato di recente dalla rivista americana Foreign Policy nell'elenco dei cento pensatori più influenti del mondo, è sferzante: «Al di là delle differenze lessicali (salita in politica, invece che discesa in campo), la manovra di Monti ricorda molto quella di Berlusconi nel 1994». Il Cavaliere aveva persino «gli stessi alleati: Fini e Casini. Perché Monti dovrebbe riuscire laddove Berlusconi ha fallito?». L'agenda montiana è «priva di numeri e di dettagli», tanto che «più di un programma economico di rilancio, è un manifesto politico». E la parte dell'agenda sulla crescita è «deludente per l'assenza di proposte concrete».
Dal Corriere arriva una bocciatura da due voci autorevolissime, Alberto Alesina e Francesco Giavazzi, quest'ultimo reclutato dallo stesso Monti lo scorso maggio per collaborare all'analisi della spending review. I due influenti economisti espongono la tesi di un Monti statalista, criticando una politica di non apertura al privato, soprattutto nel campo della sanità: se l'Italia volesse abbassare le spese al livello della Germania dovrebbe procedere a «tagli per 65 miliardi». La spending review di certo «non basta»: nel programma Monti «non si parla abbastanza» di ridurre «lo spazio che occupa lo Stato». Il Professore si è anzi mosso «nella direzione opposta»: «Ad esempio ha trasferito Snam Rete Gas» dall'Eni, «di cui lo Stato possiede il 30%», alla Cassa depositi e prestiti, «di cui possiede il 70». E i due editorialisti scrivono quello che nessuno scrive mai: «L'Alitalia oggi è sostanzialmente fallita», e regista dell'operazione del tentato salvataggio «fu l'attuale ministro Passera».
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