Anche la Protezione civile contro i giudici dell'Aquila: «Senza esperti è la fine»

La Protezione civile si protegge, a futura memoria. Le polemiche di questi giorni sul ruolo (fondamentale) di questo «ramo» dello Stato, la chiamata in correo, a fronte di disastri ambientali, di chi a quei disastri è chiamato a porre rimedio, ha suscitato la ferma reazione dei diretti interessati. Che hanno preso carta e penna e hanno scritto una lettera aperta. Diretta a chi di dovere e, soprattutto, all'intero Paese.
«Nei prossimi anni i funzionari di questo Dipartimento rischiano di essere soli nello svolgere il proprio lavoro, soli e indeboliti. Saremo senza il supporto della comunità scientifica, è evidente. Soli, perché quale professionalità con competenze adeguate accetterà, in futuro, il rischio di dirigere gli Uffici ad alto tasso tecnico-scientifico, come ce ne sono all'interno del nostro Dipartimento?».
Se lo chiedono ben duecentocinquatatre funzionari del Dipartimento della Protezione civile. «La sentenza del 22 ottobre 2012 ha colpito profondamente l'intero sistema della Protezione civile nazionale e singolarmente ognuno di noi, funzionari e collaboratori del Dipartimento della Protezione Civile. E ha avuto risonanza in tutto il mondo. Questo potrebbe segnare un punto di non ritorno», aggiungono.
Il riferimento, ovviamente, è alla sentenza che ha condannato i membri della commissione detta «Grandi Rischi» in quanto responsabili, detto papale palape, del «reato» opposto al procurato allarme, avendo rassicurato la popolazione poco prima del terribile terremoto che colpì L'Aquila e la sua provincia, il 6 aprile del 2009. «È la Protezione civile - aggiungono i funzionari - intesa come un sistema finalizzato alla tutela dell'incolumità delle persone e dell'integrità di beni abitativi, produttivi, culturali e ambientali anche attraverso le attività di previsione e prevenzione, e non solo quelle di soccorso, che esce condannata da questo processo».
Ma il passato, sembrano voler dire i funzionari, è passato. A quel danno non è più possibile porre rimedio. Il guaio peggiore è che, secondo loro, così stando le cose, in futuro, nella sempre malaugurata ipotesi di altri disastri, la situazione non potrà che peggiorare. Infatti spiegano: «Condannata per il passato ma, soprattutto, nelle condizioni attuali, condannata a non avere presente e futuro, nonostante sia presa ad esempio in tutto il mondo. La sola possibilità per garantire al Paese le azioni che ci competono è che le istituzioni e i cittadini tornino a supportare il sistema di Protezione civile e i suoi operatori, riconoscendone e tutelandone il valore, che coincide con il valore della prevenzione da perseguire con rigore e costanza nel tempo. E non certo con il salvifico intervento all'ultimo minuto: se si confida in questo, la sfida è persa».
La Protezione civile mette le mani avanti per proteggersi, quindi. Ma non solo. Desidera proteggere chiunque in futuro potrebbe aver bisogno di lei. «Non possiamo tacere quanto è nella nostra esperienza diretta. Esperienza diretta vissuta nel quotidiano e di emergenza in emergenza, al fianco dei colleghi condannati a L'Aquila, che negli anni hanno messo a disposizione la propria indiscussa competenza, professionalità e passione nelle attività di protezione civile, contribuendo al miglioramento dell'intero sistema Paese.


È per questo che, a parte i riconoscimenti personali e le dichiarazioni di stima e di solidarietà individuali nei confronti di persone con cui è un onore ed un privilegio lavorare, rimane che quanto accaduto è grave dal punto di vista sistemico, e potrebbe segnare un punto di non ritorno».
Sarebbe un disastro da Protezione civile.

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