Assalto a Formigoni Chiesto un anno per diffamazione

Milano«È vero, le dichiarazioni del presidente Formigoni sono state rese nel contesto di una competizione politica. Ma la critica politica si deve mantenere nei limiti ammissibili. E alla base ci deve essere sempre un fatto verificabile». È questo il passaggio centrale della requisitoria con cui ieri il pubblico ministero, Mauro Clerici, ha chiesto la condanna a un anno di carcere e a cinquecento euro di multa per il presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, accusato di diffamazione ai danni dei radicali della «Lista Pannella». Al centro della vicenda, le firme con cui venne sottoscritta la lista del Pdl a sostegno della candidatura di Formigoni, un migliaio delle quali sono risultate false.
Formigoni è rimasto fuori dall'indagine sulle firme apocrife, per cui invece la Procura ha incriminato un gruppo di funzionari del Pdl tra cui il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà. Ma comunque Formigoni è finito sotto processo: colpa della asprezza con cui reagì alla iniziativa dei radicali di andare a controllare una per una in tribunale gli elenchi delle firme e di fare partire poi un esposto alla Procura della Repubblica denunciando come una parte delle firme fossero assai dubbie: dubbi confermati dalle indagini dei carabinieri.
Ma Formigoni, all'epoca, reagì pesantemente. Tra il 4 e il 5 marzo 2010 tenne un paio di conferenze stampa e rilasciò una dichiarazione a Sky in cui parlava di una macchinazione per escludere il Pdl dal voto imminente, sostenendo che i radicali avevano potuto restare da soli per dodici ore con i moduli delle firme e i certificati elettorali, e in quel contesto avrebbero («teoricamente», specificava in una delle dichiarazioni) potuto compiere delle manipolazioni. E, infine, rivelava: cinquantuno certificati elettorali sono spariti.
I radicali lo querelarono per diffamazione a mezzo stampa, la Procura chiese e ottenne il suo rinvio a giudizio. E ieri arriva la requisitoria di inusitata durezza del pm Clerici, che chiede anche che a Formigoni siano rifiutate le attenuanti generiche, «perché non è sufficiente essere incensurato». Il rappresentante della Procura contesta in particolare a Formigoni le dichiarazioni sulla «macchinazione» di cui i radicali sarebbero stati parte, rinfacciando al governatore della Lombardia di avere colpevolmente omesso di ricordare che esposti analoghi i radicali li avevano depositati, dopo avere consultato gli elenchi delle firme, anche contro la «lista Penati» e i centristi della «lista Pezzotta». E anche se la possibilità di manipolazione era stata espressa da Formigoni come pura ipotesi, la affermazione sulla sparizione di 51 certificati «era un'affermazione diretta, non allusiva». Smentita, secondo il pm, dalle testimonianze secondo cui i radicali consultarono le firme solo per tre ore, sempre alla presenza di diversi cancellieri, e nessun certificato scomparve.


La reazione di Formigoni alla richiesta di condanna non si fa attendere: «È una cosa scandalosa e ridicola nello stesso tempo», commenta, «le polemiche tra politici sono sempre state giudicate insindacabili», ribadisce che «i radicali hanno avuto in mano le liste per le regionali senza alcun controllo per diverse ore» e si dice certo di venire assolto. Poi rincara la dose verso i radicali: «I crimini sono solo quelli dei radicali, maestri di manipolazione, di contraddizioni e di menzogna». E i radicali annunciano che lo quereleranno un'altra volta.

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