Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre, sente ogni giorno il polso dell'Italia che resiste e produce, quella delle piccole imprese. Ma riesce a dare lavoro ai giovani?
«Attenzione: si parla di disoccupazione giovanile al 36% nella fascia fra i 15 e i 24 anni. Ma questo non significa che un giovane su tre non lavori: i numerosi studenti rientrano infatti statisticamente nei cosiddetti inattivi, una platea di 4.290.000 persone. Dove però troviamo anche gli scoraggiati: quelli che non studiano, non hanno un lavoro e neppure lo cercano».
Perché non lo sanno cercare o perché non c'è?
«In Italia lavora il 18,6% dei giovani contro il 46,3% della Germania, il 52,9% dell'Austria, il 53,8% della Danimarca: molti di questi ragazzi stranieri intanto proseguono gli studi. Dov'è la differenza? Nella formazione, prima di tutto».
In che senso?
«In Germania e Danimarca si accede al lavoro tramite il lavoro. Cioè il ragazzo che frequenta un istituto professionale fa pratica retribuita, seguito da un meister, un artigiano esperto, già durante l'anno scolastico, per esempio due pomeriggi alla settimana. Attenzione, non parliamo di scuole di serie B: nei programmi ci sono le lingue straniere e la letteratura, ma si impara anche un mestiere. In Trentino Alto Adige, la regione italiana che ha più scuole di questo tipo, non a caso la disoccupazione è più bassa della media. Alle carenze della scuola e della famiglia, però, non può rimediare l'impresa».
Ma che tipo di lavoratori cercano le aziende?
«Nel 2011 le imprese non sono riuscite a coprire più di 45mila posti di lavoro per giovani fino a 19 anni, secondo le rilevazioni del sistema Excelsior, realizzato da Unioncamere e ministero del Lavoro. E ogni anno il problema si ripete: nel primo semestre 2012 si cercavano 21.887 cuochi e camerieri, 10mila commessi, 5.700 tecnici informatici, 2.110 specialisti in scienze matematiche, 1.800 estetiste, e ancora muratori, falegnami, carrozzieri, tecnici amministrativi, manutentori e installatori di impianti di condizionamento».
Mi sembrano anche troppi: viene il sospetto che molti di quei posti vengano coperti, ma in nero.
«Forse in passato, ma con le nuove regole è praticamente impossibile. Certo, magari il lavoro c'è a Varese e chi lo cerca abita a Caltanissetta: ma spesso si tratta proprio di posti che i giovani non vogliono occupare. O non possono, per mancanza di qualifica. E questo vale anche per i laureati: mancano lauree tecnico-scientifiche».
E a un giovane che vuole mettersi in proprio, lei che cosa consiglierebbe?
«Almeno un paio d'anni ad apprendere il mestiere presso chi già lo fa sono necessari. Perché bisogna imparare a gestire il personale, i rapporti con i clienti e le banche, capire di che cosa ha bisogno il mercato. C'è una nicchia che rimane scoperta? Quella sarà l'attività da inventare».