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La banalità di Michela Murgia

Provo un certo stupore non tanto per le tesi volutamente provocatorie quanto per la banalità con cui scrive e il livello davvero scarso del ragionamento complessivo

La banalità di Michela Murgia

Negli ultimi anni i cristiani si sono abituati a subire attacchi di tutti i generi in ogni ambito della società. Dalla famiglia ai temi etici, dal rispetto delle tradizioni alla difesa dell'identità. Un tentativo di delegittimare la religione cristiana avvenuto a più livelli e con varie sfumature che vanno dai crescenti episodi di cristianofobia alla volontà di cancellare le radici cristiane dell'Europa fino alla deligittimazione dei simboli cristiani. Tale delegittimazione colpisce in ogni momento il crocifisso e, nel periodo natalizio, si rivolge al presepe e alla rappresentazione della natività. Si cerca così di ridurre il Natale a una generica “festività” privandolo di ogni valore e riferimento cristiano. Ultima in ordine di tempo è stata la scrittrice Michela Murgia, non nuova ad articoli o prese di posizione fuori luogo e radicali. Il giorno della vigilia di Natale, l'autrice sarda ha pubblicato su “La Stampa” un articolo dal titolo emblematico I cattolici amano un Dio bambino perché rifiutano la complessità aggiungendo nel sommario: “la Sacra Famiglia è una storia di migranti, schiavi, povertà, ma è stata semplificata Non potremo mai assomigliare alla divinità. È umano soffrire, sbagliare, perdere”. Un testo che, oltre ad essere errato nel merito, lo è anche nei tempi, essendo stato pubblicato il 24 dicembre.

La Murgia afferma che il cattolicesimo sia “l'unica tra le confessioni cristiane a infantilizzare il suo Dio” sostenendo che “nelle altre chiese di derivazione evangelica la devozione per Gesù neonato - o per Maria bambina, di sponda - è praticamente inesistente”. Già dalle premesse emerge un'affermazione falsa poiché nell'iconografia ortodossa il bambino Gesù viene raffigurato con grande frequenza tra le braccia della Madonna. Ma il suo articolo è un crescendo di banalità davver sconcertanti come il passaggio in cui scrive “nelle Scritture il racconto della nascita di Gesù somiglia infatti più alla trama di un film drammatico, sebbene cominci da un innesco piuttosto banale, di quelli in cui potremmo presto o tardi incappare tutti: si parte da un viaggio scomodo intrapreso per obbligo burocratico imposto dal governo”.

Confesso di non aver mai letto un libro della Murgia (è peccato?) e l'articolo in questione è uno dei pochi in cui mi sono imbattuto dovendolo leggere per lavoro e non certo per piacere poiché in passato titoli come God save the queer. Catechismo femminista non avevano attirato la mia attenzione. Terminata la lettura ho provato un certo stupore, non tanto per le tesi volutamente provocatorie quanto per la banalità con cui è scritto e il livello davvero scarso del ragionamento complessivo. Esistono altre figure del mondo culturale di sinistra che, pur nella fallacia delle loro tesi, espongono però ragionamenti di alto profilo ma questo articolo di Michela Murgia mi ha colpito in negativo. Come può una figura che esprime concetti del genere “per secoli abbiamo giudicato torvamente gli albergatori di Betlemme, ma alla fine la loro sola colpa, se tale la vogliamo considerare, era di essere sold out”, aver acquisito spazi, visibilità, posizioni nel mondo culturale?

Eppure sarebbe errato derubricare articoli di questo genere come una semplice provocazione poiché è qualcosa di più profondo, ovvero il tentantivo di banalizzare e ridicolizzare la religione cristiana raccontando la natività come fosse una storiella.

Don Angelo Citati, in un illuminante articolo sulla vicenda, scrive: “la disamina della Murgia diventa contestabile quando si spinge fino a dire che è l’idea stessa di rivolgere la propria devozione a Gesù bambino ad essere un segno di immaturità, di «rifiuto della complessità». Un Dio che si fa bambino le sembra una cosa semplice? Nella sua storia plurisecolare, la cultura occidentale non ha affatto recepito il mistero dell’incarnazione del Verbo in questo modo, come qualcosa di semplice”.

Lecito chiedersi in

conclusione a cosa serva la teologia, leggere Sant'Agostino, San Tommaso d'Aquino, approfondire secoli di studi teologici, se c'è Michela Muegia che può espiegarci il senso del Natale con analisi così profonde e complesse?

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