Bankitalia avverte i partiti: meno tasse e aiuti alle imprese

Milano Manovre correttive nell'ordine dell'1% del Pil per centrare dal 2015 il pareggio di bilancio; forme di compensazione non solo tese a colmare il buco di gettito che potrebbe determinarsi se saltasse il previsto aumento dell'Iva, ma anche a copertura della cassa integrazione e delle missioni, pena lo sforamento del rapporto deficit-Pil del 3%. E ancora: oltre a un ulteriore rimborso di 20 miliardi alle imprese da parte della Pubblica amministrazione, vanno approntate misure di sostegno alle imprese e alle fasce più deboli della popolazione, dissipate le incertezze che gravano sulle entrate dell'Imu e ridistribuito il peso della pressione fiscale, al più alto livello degli ultimi 50 anni. È un'agenda ricca quella che Bankitalia detta al governo che potrebbe vedere già vedere la luce domani se Giorgio Napolitano riuscirà a trovare la quadra in tempi brevi.
I mercati aspettano, fiduciosi. Ma se all'inizio della settimana era stata Piazza Affari a beneficiare più di tutti i listini della seconda investitura di Napolitano, ieri una gran voglia di shopping si è manifestata in tutta Europa. Uno strong buy che ha permesso ieri alle Borse di mettere a segno progressi perfino superiori al 3% (Milano ha chiuso con un brillante +2,93%), come se tra gli investitori ci fosse stato un passaparola rialzista. Alimentato in parte dall'enorme liquidità messa in circolo dalla Federal Reserve e dalla Banca del Giappone, in parte dallo stemperarsi delle tensioni sul debito (lo spread Btp-Bund è sceso a 269 punti, e i tassi sul decennale sono calati sotto al 4%), ma anche dalla convinzione che con la febbre da recessione sempre più alta, Mario Draghi ha ormai solo una carta da giocare: un taglio dei tassi, fermi da nove mesi allo 0,75%, già nella riunione Bce del 2 maggio.
A dare l'ultima spallata alle residue resistenze dell'Eurotower, potrebbe essere stato ieri l'ultimo indice Ism. Ricavarne segnali positivi è praticamente impossibile. Semmai, la lettura più appropriata è quella di un'intensificazione della crisi nel secondo trimestre. In aprile l'insieme di industria manifatturiera e terziario è rimasto inchiodato sui livelli di aprile, a quota 46,5, un valore ben al di sotto dei 50 punti che separano espansione e contrazione dell'attività. Ben più grave, perfino in Germania è caduto sotto la linea di galleggiamento il settore dei servizi (a 49,2) ed ha accentuato la caduta il comparto industriale (da 49 a 47,9). Ciò potrebbe indurre la Bundesbank ad avallare un taglio dei tassi.
I tempi sembrano insomma maturi, se non proprio per manovre di quantitative easing, almeno per provare a dare un po' di ossigeno all'economia. Sempre che le banche si decidano ad aprire il rubinetto dei prestiti. Un nervo scoperto, questo. Anche per Angela Merkel: «Una banca - ha ammonito la Cancelliera - non può di fatto prendere in ostaggio contemporaneamente un'intera società e la sua economia». Ma se gli istituti non fanno credito, la colpa è anche dell'austerity imposta da Berlino che ha messo in ginocchio molte imprese esponendo le banche a un aumento delle sofferenze che le ha rese più prudenti.
Serve dunque una svolta, sollecitata ieri da Daniele Franco, direttore centrale per la ricerca economica e le relazioni internazionali della Banca d'Italia, davanti alle commissioni speciali di Camera e Senato sul Def, secondo cui è necessario «il sostegno in tempi brevi del sistema produttivo e delle fasce più deboli della popolazione».

Il governo ha subito risposto alle preoccupazioni espresse da Franco sull'Imu temporanea, che avrebbe provocato «un peggioramento dei saldi per circa 0,8 punti percentuali del Pil l'anno dal 2015 e, di conseguenza, la necessità di reperire risorse aggiuntive»: il testo del Def è stato cambiato, in modo da rendere «permanente» l'attuale regime dell'imposta sugli immobili.

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