Le primarie del Partito democratico sono la rivincita di Silvio Berlusconi. Dell'uomo che ha portato in Italia la tv commerciale e ha imposto il modello della leadership personale in politica. Vent'anni fa il Cavaliere scelse proprio la tv per proclamare la discesa in campo. Confezionò un filmato a sua misura, compresa la famosissima calza che un operatore particolarmente accorto applicò sulla telecamera per migliorare le immagini.
Tv e leadership: per anni Berlusconi è stato fustigato per la calzamaglia e l'uso personalistico delle televisioni, per aver stravolto un sistema in agonia secondo regole nuove e imprevedibili alla vigilia, accusato di voler fare il premier senza un partito alle spalle e con un programma ricco soltanto di slogan semplici quanto efficaci. La sinistra gli ha rinfacciato di essere spuntato dal nulla (al massimo dal maneggio di Vittorio Mangano o dal padrinaggio di Bettino Craxi), di non avere padri fondatori né una tradizione politica che legittimasse la sua pretesa di guidare il Paese. Pretesa che evidentemente doveva originarsi da tutto fuorché ciò che conta davvero: i voti degli italiani.
È imbarazzante, oggi, guardare i leader della sinistra piegati a ciò che per vent'anni hanno combattuto. Hanno fatto la guerra alla spettacolarizzazione della politica, ed eccoli in fila chiacchierare negli studi televisivi di X Factor, in attesa che si accendano i riflettori e loro cinque possano scendere la passerella, presentati come concorrenti di un talent show. Uno ha le mani in tasca, l'altro dietro la schiena, uno le braccia conserte e un altro ancora dritte lungo i fianchi come la Merkel. Asserviti alle regole della televisione, eccoli rispettare come scolaretti i tempi della pubblicità, la dittatura del cerone, le esigenze delle telecamere.
Tutti abbigliati uguali, vestito nero con camicia bianca, salvo un guizzo per il colore della cravatta o delle scarpe (Renzi, vergognati). Quelli che un tempo erano maestri dei comizi, che facevano campagna elettorale arringando le folle, sono ridotti a dire tutto in un minuto e mezzo, a mutilare gli argomenti, a mortificare le idee in slogan. Sono le regole dello show, anche se non è targato Berlusconi ma Murdoch.
È in qualche modo un retaggio del berlusconismo anche l'accusa lanciata ieri pomeriggio da Laura Puppato a Matteo Renzi di essere stato «teleguidato» sul pulpito del Teatro della Luna di Assago: «Riceveva costantemente i messaggi sul telefonino e li leggeva. Nessuno di noi si era portato il cellulare». Ma i «fantastici cinque» devono al Cavaliere anche il nuovo modello «leaderistico» del partito. Una volta erano il comitato centrale, il congresso, il Politburo delle Botteghe Oscure a dettare la linea. Oggi invece si va in tv e uno vuole la patrimoniale, l'altro il taglio dell'Imu, un terzo le adozioni gay, e poi il ribaltamento del patto di stabilità, l'accordo con Casini, Monti al Colle. Uno governerà con 10 ministri, ma per ora fa il sindaco a Firenze con 16 assessori. L'altro replicherà l'esperienza della propria Puglia, «diventata la nuova mecca del cinema italiano», e vendicherà «la donna uccisa dal suo maschio proprietario».
L'unico vero tema su cui tutti e cinque hanno concordato è stata la lapidazione di Sergio Marchionne. Anche qui, la sinistra rimane succube di ciò che ha combattuto: c'è sempre bisogno di un avversario con cui prendersela tutti assieme appassionatamente. Senza peraltro conoscerlo. Marchionne è stato apostrofato come «ingegnere» mentre l'amministratore delegato del gruppo Fiat ha studiato legge e filosofia, ha un master in Business administration e prima che il manager non ha fatto case o auto ma il commercialista e l'avvocato.
Insomma, si è sentito tutto e il contrario di tutto. Compreso un improbabile e tragicomico Pantheon. Bersani ha come nume tutelare un papa, Vendola un cardinale di Santa Romana Chiesa, Renzi una giovane blogger algerina. Dov'è l'orgoglio della sinistra, il senso di appartenenza a una storia, il legame alla tradizione operaia e solidarista? A Berlusconi la sinistra rimproverava (a torto) di non traguardare le convention di Publitalia, e al Vaticano di ingerirsi negli affari italiani: ora mette sul comodino le foto di Papa Giovanni e del cardinale Martini.
Ma che cosa succederà dopo le primarie? Davvero è pensabile che, per ipotesi, Tabacci possa fare proprie le idee di Vendola sui diritti ai gay o Renzi le avances di Bersani a Casini? Alla fine, il programma del candidato premier della sinistra sarà il «suo» programma, non il frutto di un compromesso con gli altri concorrenti di quello che Twitter ha ribattezzato csxfactor.
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