«Mai. Non ho mai avuto occasione di sentirmi raccontare come sono andate le cose direttamente da Grillo, l'unico che possa davvero farlo. Mi conosceva bene, era amico dei miei, frequentava la nostra casa: come è possibile che in tutti questi anni non abbia mai sentito l'esigenza di vedermi, di chiedermi scusa, almeno di telefonare ai miei genitori adottivi per sapere come stavo?». Un anno fa, anche allora sotto elezioni, usciva su Vanity Fair lo sfogo di Cristina, dopo anni di dolore covato in silenzio. Il 7 dicembre 1981, in un incidente d'auto, persero la vita i suoi genitori e il fratello. Al volante della jeep c'era un amico di famiglia, Beppe Grillo, che per quella tragedia («il ricordo di quel burrone me la porterò dietro tutta la vita» disse allora) verrà condannato prima in Appello, a Torino, e poi in Cassazione, per triplice omicidio colposo. Da allora, cioè dal 1988, Grillo è un pregiudicato, e da quando è diventato il leader politico gli avversari non mancano di ricordarglielo. Prima Renzi, più volte, e adesso Berlusconi («Grillo è un assassino»). Dopo quel racconto Cristina, che oggi ha 39 anni e ha preso il cognome della famiglia che l'ha adottata, non è più tornata su quella storia, come aveva chiesto anche nell'intervista: «Prego giornalisti e fotografi di non cercarmi più». Aggiungendo: «Chiedo solo di incontrare il signor Grillo. È un gesto che devo a me stessa, ma anche ai miei genitori e a mio fratello, che non possono più parlare: lo faccio io a nome loro. Molte volte mi sono chiesta che cosa proverei ad averlo davanti a me, di persona, per chiedergli di quel giorno. Fra tutti quelli che in questo periodo sentono continuamente parlare di lui e vedono la sua faccia e leggono ovunque le sue parole ci sono anche io, e lui dovrebbe ricordarselo, e dovrebbe capire l'effetto che mi fa. Ogni giorno penso a come sarebbe la mia vita se i miei genitori e mio fratello fossero ancora con me».
L'intervista usci poche settimane prima del voto politico, e scatenò l'ira di molti supporter di Grillo, indignati dalla tempistica «elettorale» della testimonianza, alcuni addirittura pronti ad accusarla di cercare la ribalta sui media. Tanto da costringere la donna a giustificarsi: «Che squallore estremo pensare che si possa lucrare sulla morte dei propri cari
Avevo provato già qualche anno fa, inutilmente, a inviare messaggi a Grillo, e a contattarlo privatamente per fargli giungere il mio pensiero. La mia uscita allo scoperto non ha secondi fini: è solo un messaggio che gli ho voluto mandare per fargli capire che cosa provo e ho provato vedendolo così spesso sui giornali e in Tv. Privatamente, ribadisco, ho ripetutamente provato a contattare Grillo, ho chiamato il suo ufficio stampa, ho chiesto più volte un incontro che mi è stato sempre negato. Parlare per me è stato solo togliermi un ENORME mattone: tutto quello che dovevo dirlo l'ho detto, nulla aggiungo. Non sarò certo io a danneggiare il suo percorso politico, né è mia intenzione farlo. Ciò non toglie che a me, come persona, avrebbe potuto dare qualcosa in più».
Grillo era stato assolto in primo grado con formula dubitativa, per insufficienza di prove, con il pagamento dio 600 milioni alla piccola Cristina (9 anni allora). «Credetemi, dobbiamo sempre avere fiducia nella giustizia e nell'operato della magistratura», fu il suo commento a caldo. Ma la magistratura rivedrà il suo giudizio.
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