Beppe Grillo ha proposto per Dudù una pena micidiale: la vivisezione. Il barboncino residente ad Arcore non si è espresso al riguardo. Mantiene un aplomb individabile, d'altri tempi. Ha un nome prescelto dal comparto della Napoli più nobiliare e straccia amabilmente i colleghi sinistrorsi come Aiace Telamonio (cane di D'Alema) sul piano della temperanza e dell'educazione. Ma le referenti «rosa» di Dudù, Francesca Pascale e Maria Vittoria Brambilla, hanno qualcosa da ridire: «Non è una notizia che per Grillo ammazzare non sia reato», dice la prima, e la seconda taglia corto: «Grillo non fa ridere», dando vita a un dibattito che ha schierato Daniele Capezzone a fianco di Verdi e Pd (il senatore Andrea Marcucci), uniti contro tale efferatezza.
Il punto è che ridere della vivisezione da parte di un leader politico non è un gesto liquidabile nella consueta raffica di violenza di cui tale leader si fa notoriamente portavoce. Si tratta di tema etico tra i più delicati. Basti pensare al caso di Caterina: la ragazza malata di quattro diverse malattie rare che in un post su Facebook difese la pratica in questione: «È grazie alla vivisezione se io mantengo una speranza di vita», disse. L'orda di insulti (o di solidarietà) con cui venne travolta Caterina suscitò uno sdegno concreto e bastò (all'epoca) a riportare la vivisezione al dibattito che merita: lucido, razionale, esente da bieche derive demagogiche. Un poco di quel contegno (anche se postumo) di allora basterebbe a smorzare certe cretinate di oggi.
Per questo la richiesta di scalzare ogni ironia dalle dichiarazioni di Grillo va incontro ad una rara unanimità. Il tentativo del leader di una retromarcia in extremis, vantando una storica avversione alla vivisezione, si incaglia nel fango dello sdegno.
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