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Ma Berlino alza la voce: «Noi contiamo più di tutti»

«L'indipendenza della Bce impone che rispetti e non oltrepassi il proprio mandato». Jens Weidmann, governatore della Bundesbank, la banca centrale tedesca, sceglie proprio il giorno d'avvio del tour europeo di Mario Monti per far pubblicare un'intervista (rilasciata il 29 giugno, giorno del cruciale Consiglio Ue, ndr) e rompere le uova nel paniere a Spagna e Italia che sperano nel soccorso comunitario anti-spread.
«Siamo la maggiore e la più importante banca centrale dell'Eurosistema e abbiamo una voce più importante rispetto alle altre». Con un'icastica parafrasi degna del Marchese del Grillo Weidmann ha voluto chiarire definitivamente che Berlino è contraria all'utilizzo dei fondi della Bce per l'acquisto dei bond dei Paesi «virtuosi» in difficoltà. Spesso «i leader politici sopravvalutano le possibilità di una banca centrale, attendendosi troppo o ritenendo che possa essere usata non solo per la stabilità dei prezzi, ma anche per promuovere la crescita», ha concluso rimarcando che, nel futuro immediato, «è difficile immaginare un'unione politica in Europa»
Tanto è bastato ieri mattina per far andare in altalena i mercati. La pubblica sconfessione tedesca delle dichiarazioni di intenti del presidente della Bce, Mario Draghi, della scorsa settimana, volte a preservare l'euro da qualsiasi attacco speculativo ha provocato cali superiori al 2% sia a Madrid che a Milano. La pronta replica di Mario Monti sul fatto che il controllo degli spread sia un compito istituzionale dell'Eurotower e, soprattutto, e il valore ridotto degli scambi causato dal periodo vacanziero hanno tuttavia facilitato il riassorbimento dello choc. Piazza Affari ha chiuso con un leggero rialzo (+0,27%), mentre le migliori performance sono state quelle di Londra (+1,38%) e di Parigi (+0,91%). Madrid (-0,27%) e Francoforte (-0,26%). La discreta performance dei titoli bancari a Milano che hanno consolidato il trend rialzista è comunque un buon segnale. Lo spread Btp-Bund è sceso sotto quota 460 a 456 punti accorciandosi ulteriormente. Così pure quello tra i Bonos spagnoli e i titoli di Stato tedeschi in flessione a 536 punti.
In realtà, più che dalle solite schermaglie tecnico-politiche tra Berlino e Roma gli operatori si sono fatti guidare dalle banche centrali. Oggi dal consiglio direttivo della Bce sono attese indicazioni positive sull'acquisto dei titoli dei Stato. A dire il vero anche da Washington si attendevano buone notizie poiché il mercato pensava che anche il presidente Ben Bernanke avrebbe estratto un coniglio dal cilindro per sostenere l'economia Usa. L'orientamento moderatamente rialzista di Wall Street ieri nelle prime fasi di contrattazione suggeriva ottimismo.
E invece in serata la sorpresa è stata negativa. Che la Fed lasciasse i tassi invariati nella forbice 0-0,25% era ampiamente previsto, ma che non si accennasse a nessuna nuova misura di stimolo (il cosiddetto quantitative easing, cioè l'acquisto di obbligazioni bancarie per aumentare la liquidità) nessuno se lo aspettava. I governatori, come al solito, hanno ribadito di essere pronti a intervenire qualora la situazione lo richiedesse giacché «le tensioni sui mercati finanziari globali continuano a porre significativi rischi al ribasso» per l'economia.
Insomma, Ben Bernanke ha seguito ancora una volta la linea della prudenza. Quasi a voler ributtare la palla dall'altra parte dell'Oceano Atlantico. Washington interverrà solo se l'Europa avrà fatto la sua parte o, in casi estremi (e per nulla augurabili) se l'intransigenza tedesca avrà trascinato anche gli Usa nel gorgo della recessione. È chiaro che un tale stato di cose pone Mario Draghi in una situazione sempre più difficile.

Da un lato, deve tenere a bada le pressioni germano-finniche al rigore e dall'altro lato deve cercare di rassicurare i mercati globali per evitare la tempesta perfetta. Se oggi l'Eurotower non dovesse parlare con una voce sola e non confermerà la politica anti-spread, la speculazione di Ferragosto diventerà una triste realtà.

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