L'idea la accarezzava dalla prima mattina. Ma la decisione finale arriva solo un quarto d'ora prima d'intervenire in aula, quando Berlusconi congeda quasi tutti dal suo studio al Senato e prepara l'intervento con cui di lì a poco confermerà la fiducia al governo Letta. Con lui restano solo Bonaiuti, Giacomoni e la Rossi, ma è il Cavaliere a scrivere di suo pugno il discorso. Una netta sterzata rispetto alla linea che fino all'alba aveva deciso di seguire l'ex premier, convinto a votare contro l'esecutivo.
Una strambata cui si arriva dopo una lunga mediazione su cui lavorano a lungo alcuni dei fedelissimi di Berlusconi, Romani e Gasparri su tutti. Un cambio di rotta necessario per evitare di andare a sbattere contro dei numeri che all'ultima conta sono evidentemente negativi, al di là delle previsioni della sera prima. Anche uno che il pallottoliere lo sa maneggiare bene come Verdini, infatti, non può mettere in conto i tanti voti «dormienti» che Alfano, Lupi e Quagliariello tengono coperti fino all'ultimo. Già, perché c'è gente che nella notte arriva a firmare sia il documento dei falchi che quello delle colombe, facendo saltare tutti i conteggi. Formigoni, per esempio, è l'ultimo a sottoscrivere due paginette scritte a mano in cui i senatori della Lombardia s'impegnano a seguire la linea del Cavaliere. E solo poco ore dopo l'ex governatore della Lombardia è in Senato ad annunciare la nascita di un gruppo di fuoriusciti dal Pdl.
Una partita a scacchi, insomma, che i contendenti giocano senza esclusione di colpi. E che alla fine vede Berlusconi costretto ad arretrare per evitare di spaccare un partito pronto alla conta. Ecco la ragione per cui alla fine vince la linea della prudenza, con il Cavaliere che decide di votare la fiducia e provare a sminare il terreno. Non posso essere io è il senso del ragionamento che l'ex premier consegna in privato ai suoi interlocutori a consegnare alla sinistra le larghe intese senza Berlusconi, sarebbe un regalo troppo grande. Già, perché se il Cavaliere fosse rimasto sulla sfiducia Letta non solo sarebbe comunque andato avanti ma avrebbe ottenuto anche di spaccare il Pdl e marginalizzare il leader di Forza Italia.
Una decisione sofferta, certo. Così, è vero che quando incontra i deputati in una riunione ristretta nello studio di Brunetta il Cavaliere prova a minimizzare. «Vedrete che si ricomporrà» e che «il partito resterà unito», ripete l'ex premier. Anche se qualche ora dopo, sempre in privato, non nasconde con alcuni parlamentari la delusione per «il comportamento di Alfano e degli altri»: «Li ho portati io dove sono arrivati e adesso mi pugnalano alle spalle». Un umore cangiante, dunque. Fatto di pochi alti (come quando davanti ai deputati scherza con un «ahi!» come se si fosse fatto male dopo il voto del Senato) e molti bassi. Al punto che nella riunione con i deputati (ci sono tra gli altri Fitto, Capezzone, Gelmini, Polverini e Romano) c'è chi arriva a dirgli in maniera piuttosto decisa che l'obiettivo è quello di farlo fuori. Il Cavaliere, però, non ci crede e butta lì che magari Alfano e gli altri si concentreranno sul governo e i falchi sul partito.
Ma non sarà così semplice. La resa dei conti, infatti, è solo rimandata perché è nelle cose che Alfano voglia ora andare all'incasso di quella che è una sua vittoria e ridiscutere gli equilibri interni al partito. Anche in questa ottica resta in campo l'ipotesi di gruppi autonomi del Pdl che rispondano direttamente ad Alfano, operazione lanciata al Senato da Formigoni e alla Camera da Cicchitto.
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