Berlusconi: "Non mi candido più a premier"

Dopo diciotto anni di impegno politico speso in prima persona, il Cav decide di non candidarsi più alla presidenza del Consiglio: "Preferisco fare un passo indietro per le stesse ragioni d’amore che mi spinsero a muovermi allora". E indice le primarie: "Sapremo chi sarà il mio successore"

Il Cavaliere Silvio Berlusconi
Il Cavaliere Silvio Berlusconi

Dopo diciotto anni di impegno politico Silvio Berlusconi ha deciso di fare un passo indietro e ritirarsi dalla corsa a Palazzo Chigi. Un passo indietro dettato dalle "stesse ragioni d’amore" che lo spinsero nel 1994 a scendere in campo per non lasciare il Paese, scosso da Tangentopoli, nelle mani della sinistra: "Non ripresenterò la mia candidatura a premier ma rimango a fianco dei più giovani che debbono giocare e fare gol. Ho ancora buoni muscoli e un pò di testa, ma quel che mi spetta è dare consigli, offrire memoria, raccontare e giudicare senza intrusività".

Dopo settimane concitate in cui si sono rincorse indiscrezioni e smentite, Berlusconi ha deciso di affidare a una nota ufficiale le sue prossime mosse. Come ultimo atto da leader del Pdl, l'ex presidente del Consiglio ha deciso di indire le primarie per decidere chi sarà il suo successore. Primarie che potrebbero tenersi il 16 dicembre. Secondo il Foglio (leggi l'articolo), la consultazione potrebbe anche non essere una corsa unicamente interna al Popolo della libertà ma si aprirebbe secondo la logica di un soggetto politico più ampio a cui potrebbero aderire tutte le forze moderate. Dopo una competizione, che Berlusconi spera essere "serena e libera", saranno gli elettori del centrodestra ad aprire democraticamente "una pagina nuova di una storia nuova". Una pagina che il Cavaliere auspica si inquadri come un continuum con quanto fatto dal gennaio del 1994 a oggi. "Lo faranno - ha sottolineato Berlusconi - con un’investitura dal basso nella quale ciascuno potrà riconoscere non solo i suoi sogni, come in passato, e le sue emozioni, ma anche e soprattutto le proprie scelte razionali, la rappresentanza di idee e interessi politici e sociali decisivi per riformare e cambiare un paese in crisi, ma straordinario per intelligenza e sensibilità alla storia". Insomma, un passo indietro per rinnovare - con la fiducia che l'Italia e gli italiani possono"tornare a vincere la sua battaglia europea e occidentale contro le ambizioni smodate degli altri e contro i propri vizi". Una battaglia anche contro chi, in questi anni, ha duramente attaccato prima Forza Italia poi il Pdl accusando sia i politici sia l'elettorato di essere "populisti e antipolitici della prima ora". "Abbiamo costruito un’Italia in cui non si regna per virtù lobbistica e mediatica o per aver vinto un concorso in magistratura o nella pubblica amministrazione", ha rivendicato con orgoglio Berlusconi spiegando che proprio questa riforma "populista" è "la più importante nella storia dei centocinquant’anni dell’unità del Paese". Una riforma che, a detta del Cavaliere, ha fatto uscire il Belpaese da "uno stato di sudditanza alla politica dei partiti e delle nomenclature immutabili" e ha creato "le premesse per una nuova fiducia nella Repubblica".

Pur andando fiero di quanto è riuscito ad apportare in politica, Berlusconi non nasconde i limiti dell'opera intrapresa in tutti questi anni. "Questo non poteva che avere un prezzo, la deriva verso ideologismi e sentimenti di avversione personale, verso denigrazioni e delegittimazioni faziose che non hanno fatto il bene dell’Italia", ha denunciato il Cavaliere svelando i motivi che lo hanno spinto, "con molta sofferenza", a lasciare Palazzo Chigi nelle mani di Mario Monti, "espressione di un Paese che non ha mai voluto partecipare alla caccia alle streghe". All'attuale premier e a tutti tecnici dell'esecutivo, Berlusconi riconosce di aver fatto molto per contrastare la crisi finanziaria. Nonostante il governo abbia fatto degli errori (alcuni riparabili, come la legge di stabilità e le misure fiscali sbagliate), la direzione riformatrice e liberale ha permesso all’Italia di arginare "le velleità neocoloniali che alcuni circoli europei coltivano a proposito di una ristrutturazione dei poteri nazionali" nell’Eurozona.

Adesso, però, Berlusconi vede all'orizzonte un rischio concreto. La spinta liberale e riformatrice, che Monti è riuscito a fatica a portare avanti, rischia di essere interrotta qualora, alle prossime elezioni, dovesse vincere la sinistra. Una coalizione che, ha spiegato l'ex premier, vuole "tornare indietro alle logiche di centralizzazione pianificatrice che hanno prodotto la montagna del debito pubblico e l’esplosione del paese corporativo e pigro che conosciamo, chiede di governare con uno stuolo di professionisti di partito educati e formati nelle vecchie ideologie egualitarie, solidariste e collettiviste del Novecento".

Dinnanzi a questo rischio, Berlusconi ha lanciato un appello, che però suona più come una sfida, al Pdl, al segretario Angelino Alfano e a tutti i giovani che
vogliono riprodurre "il miracolo del 1994". "Date - è l’appello finale del Cavaliere - una seria e impegnativa battaglia per fermare questa deriva".

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