Il miglior alleato di Silvio Berlusconi è Mario Monti. È il paradosso della campagna elettorale: i numeri pessimi dell'economia italiana sotto il governo dei tecnici li ha dati ieri la Banca d'Italia, non lo staff elettorale del Pdl: il Pil dell'anno prossimo sarà ancora mesto e triste. Meno uno per cento di crescita (cinque volte peggio delle previsioni), la disoccupazione che crescerà ancora, la produzione industriale che non va. Questo, il candidato Monti non potrà attribuirlo a chi l'ha preceduto: la colpa è sua e del suo governo. Punto. Bankitalia scrive il necrologio dei tecnici e spinge Berlusconi a continuare a battere lì, sul crac del Prof e sul probabile fallimento di un futuro duopolio Bersani-Monti.
I piani di alleanza futura, le vere o presunte riunioni carbonare tra Pd e centristi, le comuni strategie anti-Silvio, raccontano bene la paura degli avversari per la rimonta del Cavaliere. Una rimonta che ieri è stata certificata da un sondaggio Swg che segna la crescita del Pdl e l'arretramento del Pd: il divario che sembrava incolmabile si riduce di settimana in settimana e questo, a poco più di un mese dal voto, dimostra che i giochi sono aperti. Berlusconi funziona: la televisione lo premia, la capacità di entrare in sintonia con gli italiani pure. Ma non è soltanto una questione di comunicazione e immagine. C'è che il Berlusconi di questa campagna elettorale riesce a spiegare le difficoltà del Paese meglio di chiunque altro, costringe Monti e Bersani a copiargli le misure per provare a rimettere in piedi l'Italia, li obbliga a parlare per slogan, col risultato che i due avversari sembrano più goffi e ridicoli di quanto non siano per loro natura.
È il vento del 2006: evocato a più riprese dopo la performance del Cavaliere a Servizio Pubblico e confermato nei numeri. Perché nelle rilevazioni di queste ore non è solo il Pd che perde. Accade anche a Monti e ai suoi alleati.
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