Roma - E allora ecco le primarie aperte «entro l’anno», per scegliere l’uomo da lanciare a Palazzo Chigi dopo la stagione del Professore, uno che stavolta non sia un Papa straniero. Ma, destino, è proprio Romano Prodi a rovinargli la giornata, attaccandolo sulle nomine delle Authority: «La spinta al suicidio di questo partito non ha limiti». Bersani si difende così: «Su questo tema nessuno è innocente».
Ecco il patto di legislatura tra progressisti e moderati «per il cambiamento e la ricostruzione». Intanto, sostegno pieno a Mario Monti e dialogo con il centrodestra per una nuova legge elettorale. Sembra un’apertura. «Se c’è l’accordo - dice Pierluigi Bersani - la riforma si può fare in tre settimane». In realtà è un no: il Pdl può scordarsi un’intesa sul semipresidenzialismo. «Non è la nostra opzione. Per noi la strada maestra sono i collegi e il doppio turno». E comunque, precisa il segretario del Pd, «non ci terremo le liste bloccate e il Porcellum, che è la causa principale del distacco dei cittadini dalla politica». Questi dunque, in pillole, i quattro punti di Bersani annunciati dal palco della direzione del Pd, questa la proposta politica che dovrebbe «colmare la faglia» tra società civile e istituzioni. «Dobbiamo prendere per le corna il toro dell’antipolitica». Il motore del meccanismo di partecipazione sta nella consultazione aperta ai movimenti, alle associazioni, alle liste civiche. «Io mi candiderò», dice il segretario, che chiede al suo partito «un sacrificio», cioè accettare la sfida di Renzi e gli altri. Per le regole della competizione c’è tempo, «si vedrà nel corso del processo». Il rottamatore Matteo ascolta, non parla e alla fine fa sapere di «aver apprezzato» le parole di Bersani. Poi da Firenze scrive su Twitter: «Bene Bersani che propone primarie aperte, ci confronteremo su idee e sogni per l’Italia di domani mandando a casa chi ci ha ridotto così». Con chi ce l’ha?
L’obbiettivo del leader Pd è mettere in piedi un centrosinistra che, oltre a vincere, sia poi capace di governare. Basta quindi con le ammucchiate, con le riedizioni dell’Ulivo, con i diritti di veto: in caso di contrasti, si decide a maggioranza. Basta risse, polemiche e insulti. Renzi e i giovani abbassino i toni. «Sì al ricambio, no alla rottamazione». Gli irrequieti come Stefano Fassina abbassino le penne. «Nessun voto anticipato, per noi l’orizzonte è quello del 2013, non possiamo dare segnali di instabilità». In questo quadro, se Di Pietro non si da una regolata, è fuori. «Decida se vuole attaccarci ogni giorno o accordarsi. Ha rilasciato una serie di dichiarazioni irraggiungibili persino per Grillo. C’è un limite a tutto». L’ex pm gli risponde subito: «A scatola chiusa non accettiamo niente, Ci dica qual è il programma, poi vediamo». Nichi Vendola invece sta già per candidarsi: «Da Pierluigi parole importanti».
Cinque ore di dibattito e alla fine la messa finisce in gloria con un voto all’unanimità a favore della relazione del segretario. Veltroni vede «il proseguimento della linea del Lingotto». I liberal sono soddisfatti. I quarantenni di Pippo Civati non chiedono nemmeno il voto sul loro ordine del giorno, che prevede il limite di tre mandati per i parlamentari. Il gruppo dirigente mostra una discreta compattezza, a parte qualche distinguo. D’Alema invita a concentrarsi sul programma, «altrimenti tutto si riduce alla scelta del capo». Franceschini chiede di portarsi avanti con il lavoro sulla coalizione. Marini, che tifa Renzi, vuole più di un candidato del partito. Fioroni, pensando alla gioiosa macchina da guerra, fa le corna e suggerisce di non chiamarsi « progressisti».
E c’è chi storce il naso. Deborah Serracchiani vorrebbe procedure più trasparenti sulle consultazioni. L’ulivista Sandra Zampa attacca tutto il vertice: «Prodi è l’unico che ha smesso con la politica, qui vedo gente che ha fatto parte delle seconda e qualcuno anche della prima Repubblica». Polemico pure il responsabile economico Stefano Fassina, che non è deputato. «Ho sentito molti interventi critici sulla questione delle nomine per le autorità. Ma perché allora sono state votate? Questo non mi è chiaro». Risponde secca Rosi Bindi: «Bastava la maggioranza semplice è questo forse che non ti è chiaro». Il presidente del Pd si fa notare anche per un altro battibecco, stavolta con Piero Fassino. «Rosi, Fammi finire il ragionamento». «Il tempo è scaduto».
Alla fine Bersani si sente vincitore: «Partiamo subito per una campagna d’ascolto dell’Italia».
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